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A dieta sì, ma di stereotipi! con Elena Mazzetto

by Giulia Gardenghi 26 Aprile 2023
26 Aprile 2023
2,6K

 

il cambio non è nel significato del termine, ma nel modo in cui si aiuta le persone a fare pace con il cibo e con il corpo per raggiungere un benessere che sia di tipo personalizzato e che riguarda la sfera sociale, emotiva e fisica.

di Elisa Orlandotti

È primavera, ci copriamo sempre meno e presto saremo in spiaggia. Lo sappiamo: è tradizionalmente tempo di dieta, di proibizioni che riguardano in primis pane e pasta, di sacrifici per entrare nei pantaloncini di quando eravamo tre chili in meno e per rispolverare quel costume con la fantasia che ci piaceva tanto, ma che ora segna in modo deciso i fianchi. Ebbene abbiamo una buona notizia: la dieta è un concetto superato! Basta privazioni, beveroni, fame atroce e… risultati che si perdono nel giro di una manciata di settimane! C’è una scelta migliore che si può fare, ce lo spiega la dottoressa Elena Mazzetto, dietista e creator, che sostiene l’Intuitive Eating, l’alimentazione intuitiva.

Da professionista dell’alimentazione che rapporto hai con la “dieta”?

La maggior parte delle persone ancora oggi attribuisce a questo termine le idee di privazione, rigidità, regole e schemi. Io ho voluto distanziarmi, assieme ad altri medici, da questo tipo di concetto e da quello che è l’approccio “classico”, prescrittivo, per abbracciarne invece uno non focalizzato sul peso: il cambio non è nel significato del termine, ma nel modo in cui si aiuta le persone a fare pace con il cibo e con il corpo per raggiungere un benessere che sia di tipo personalizzato e che riguarda la sfera sociale, emotiva e fisica.
A me non piace parlare di “dieta”, preferisco parlare di “percorsi insieme” — io li definisco così — alle mie pazienti e ai miei pazienti; durante il cammino fornisco loro gli strumenti necessari per affrontare la propria situazione, ciascuno la sua, in una società grassofobica. Questi strumenti che do loro, li aiutano anche quando terminiamo di vederci perché permettono di mantenere un equilibrio dinamico, che cambia a seconda della realtà e della situazione in cui ci si trova.

… ci stai dicendo che la prova costume non ha senso in base a una nuova concezione di benessere?

Mi viene da rispondere: “Quando mai ha avuto senso?!” La prova costume è sempre stato un momento di grande disagio per la maggior parte delle persone, obbligate a fare di tutto per raggiungere un ideale, che, in effetti, non è qualcosa che può essere raggiungibile. Quasi un plasmare il proprio corpo come se fosse pongo allontanandosi, invece, dall’ascolto dei propri bisogni reali.

Tu però raccogli ancora l’esigenza di perder peso dalle persone che vengono da te?

Sicuramente sì, ci sono ancora persone che desiderano dimagrire; è normale nella società in cui siamo. Ma è diverso quando questo desiderio diventa un obiettivo, quando tutto quello che fai, lo fai per perdere peso e non più in relazione a quello che è il tuo reale benessere.

Guardiamo all’idea che alcuni hanno: il vegano si priva di determinati alimenti, quindi la dieta vegana è dimagrante. Come possiamo abbattere questa credenza errata?

Diventare vegano non vuol dire dimagrire, ma rispondere a una serie di valori; è una questione che è molto più profonda di quello che si pensa. Sono del parere che ben venga anche chi non prende questa scelta, ma è spinto a provare alimenti 100% vegetali per scoprire che magari sono più buoni e gustosi di quanto non potesse immaginare.
“Vegano” non vuol dire automaticamente “che fa perdere peso” e mi sento di aggiungere che ci risiamo: stiamo comunque ponendo attenzione al peso e alla paura di ingrassare, risultato di una società grassofobica. Sembra quasi di dover trovare tutti gli escamotage possibili e immaginabili con il solo scopo di dimagrire. Diventare vegani non vuol dire togliere una fetta di prodotti che potrebbero incidere sulla silhouette: se è vero che si eliminano i derivati animali è pur vero che se ne inseriscono tutta una serie di altri in grado di arricchire l’alimentazione e dei quali prima non si conosceva nemmeno l’esistenza, come i legumi, che le persone limitano alle lenticchie per Capodanno e a pasta e fagioli una volta ogni tanto, oppure il tofu, il tempeh e i lupini.

Qual è la difficoltà più importante che incontrano le persone che vogliono migliorare la relazione con l’alimentazione e il proprio corpo?

La cosa più difficile è il decostruire un pezzo alla volta tutte quelle che sono le influenze e le idee interiorizzate fino a quel momento, partendo dalla cultura della dieta, per poi sviluppare un rapporto di ascolto e di fiducia nei confronti di se stessi, imparando a rispondere nel modo più vantaggioso possibile e libero ai propri bisogni, a seconda delle risorse e dei propri valori.

In pratica quali sono i capisaldi che dobbiamo abbattere?

Le patatine fritte fanno male, la torta si può mangiare solo il sabato, la divisione tra cibi giusti e cibi sbagliati, la grammatura di un determinato alimento perché di più non si può e altro ancora. Tutto questo porta a una totale disconnessione con quelli che sono i segnali di fame e di sazietà: nella maggior parte delle diete prescrittive si prevede che una persona mangi una quantità di un determinato alimento indipendentemente dalla fame che ha, ma nel percorso che affronta con me — o con i professionisti che hanno scelto questo tipo di approccio — i punti cardine stanno nel riappropriarsi anche del significato di fame e sazietà, quindi cosa vuol dire avere fame? Come questa può cambiare? E ovviamente ognuno di noi si rende conto che il proprio appetito muta di giorno in giorno… un po’ alla volta impara a rispondere in maniera quanto più coerente possibile.

Davanti a un mangiatore seriale di patatine fritte come ti comporti?

Si deve iniziare a capire il perché c’è questo tipo di rapporto con le patatine fritte. Ti faccio un esempio: tendenzialmente, e sottolineo tendenzialmente, un meccanismo di overeating, cioè quando devi mangiare più di quanto hai bisogno, deriva da una situazione in cui ci si è privati di determinate cose oppure quel tipo di alimento viene visto come proibitivo e perciò oggetto di desiderio. Ma questo cercarlo spesso è vantaggioso per la persona? O no? Per quale motivo lo si desidera e si desidera proprio quello?
A tutte queste domande si dà una risposta assieme e se c’è bisogno ci si affianca a un supporto psicologico.

Qual è una buona abitudine da acquisire e una cattiva da perdere?

Una buona abitudine potrebbe essere quella di fermarsi più spesso ad ascoltare il proprio corpo e i suoi segnali e quindi anche accogliere il fatto che avere fame non è sempre sbagliato. Nei miei percorsi guido alla comprensione della fame, della sazietà, della soddisfazione, del fatto che si possa mangiare per il piacere, per la curiosità di assaggiare un piatto oppure per condividere una specialità.
L’abitudine da perdere: ci giudichiamo tantissimo; potremmo provare un po’ per volta a lasciare andare il giudizio nei confronti di noi stessi, di tutto quello che facciamo, di cosa mangiamo, di quanto mangiamo e provare ad accogliere il fatto che il nostro valore non dipende solo dal numero di taglia; la diversità dei corpi va normalizzata.

Di recente un documento dell’OMS esprime dubbi sugli ultra processati plant based, tu che approccio hai?

Non li giudico, è contro i miei valori: non mi piace parlare di alimenti giusti e di alimenti sbagliati; è l’approccio che fa la differenza. Da un lato penso che possono essere di grande aiuto, soprattutto per chi si sta avvicinando al vegan, ma questo non implica usarli tutti i giorni, ci mancherebbe!, perché comunque l’alimentazione più è varia più è nutrizionalmente vantaggiosa. Ricordiamoci che chi sceglie di mangiare vegetale, nella maggior parte dei casi, non ha problemi con il gusto dei derivati animali, ma con tutto quanto sta dietro il tipo di produzione.

Studiando la tua figura online sembri più un’amica che una dottoressa: una persona che ispira tramite Instagram, comunque legata ad aziende commerciali; non c’è nessun camice che tenga la distanza con il prossimo, anzi c’è la condivisione del privato. Come è vissuto dai colleghi e dai pazienti questo tuo atteggiamento?

Ho abbracciato un approccio non prescrittivo, HAES (Health at Every Size). Nel mio lavoro parlo di alimentazione consapevole e intuitiva, educo ad accogliere i segnali del proprio corpo. Mi piace pensare di essere una professionista che accompagna le persone a comprendere cosa voglia dire per loro benessere e lo voglio fare ponendomi al loro livello, non sono e non voglio essere superiore a nessuno, conscia del fatto che ho il privilegio di poter dare gli strumenti a chi ne ha necessità.
Per quanto riguarda il come mi vivono i miei colleghi in realtà non mi sono mai posta questa domanda perché preferisco essere in pace con me stessa e sapere che sto lavorando nel rispetto di me e dei miei valori.

I pazienti come vivono il fatto che tu non indossi un camice?

Spero bene! Si instaura un rapporto di fiducia e capisco che riescono a comunicarmi pensieri o fatti che magari fino a quel momento non avevano mai detto a nessun medico. Io vorrei essere vista come una figura non giudicante, una figura empatica e pronta all’ascolto, che penso sia una delle cose più importanti nel mio lavoro.

Qual è la soddisfazione più grande che fino a oggi hai avuto?

Penso che non ci sia soddisfazione più grande di quando i pazienti mi riferiscono di sentirsi finalmente liberi di scegliere quello che fa stare loro bene senza troppi schemi o meccanismi privativi.

ph credit Andrei Ciocinta

Intervista tratta da FVM 56

Al bando anche lo “sgarro”!

“Non voglio usare la parola ‘sgarro’ — spiega la dietista Mazzetto — perché è un termine che identifica uno sbaglio, come un inganno nei confronti di sé, ma in realtà non si sta né rovinando nulla né facendo qualcosa di male; si sta semplicemente facendo un’esperienza, mangiando una cosa buona”.

Semi di Elena – Una storia di ricette vegetali, pensieri ed emozioni
Libro che racconta la storia di Elena, le sue scelte di approccio lavorativo e le tematiche legate alla dieta, che abbiamo in parte toccato nell’intervista.
Non si tratta di un saggio, pur contenendo osservazioni che riguardano la nutrizione, ma di un’opera narrativa da leggere. “Lo scrivo come Elena. Elena dietista, Elena fotografa, Elena scrittrice, Elena tutto”.

Torna alla sezione People per altre interviste!

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