“A Pasqua l’agnello? … si potrebbe cominciare trovando altri simboli e inventando nuovi riti che magari non dispensino morte per festeggiare il ritorno alla vita”
Al cenone del 24 dicembre, pesce. A Capodanno, lo zampone. A Pasqua l’agnello o il capretto. I menù delle occasioni di festa appaiono immutabili, perché tradizionali. Intoccabili, come le occasioni per le quali vengono imbanditi. Una confusione fra sacro e profano che può offuscare le capacità critiche, sovvertendo l’ordine di importanza fra libri sacri e ricettari della nonna.
Zootecnica tradizionale
Gli agnelli, stando al ciclo riproduttivo naturale della pecora, nascerebbero fra febbraio e marzo, pronti per il macello con l’inizio della primavera. Volendo fare riferimento a metodi di zootecnica tradizionale, c’è chi sostiene (CIA – Agricoltori Italiani) che l’abbattimento di una certa percentuale di agnelli sarebbe funzionale al mantenimento del gregge che, in presenza di troppi maschi, diventerebbe ingestibile. Gli Agricoltori Italiani (CIA), ricordano anche che l’antica pratica della transumanza è stata dichiarata patrimonio immateriale dell’umanità dall’UNESCO e che la pastorizia, dove praticata con metodi tradizionali, come in alcune zone dell’Appennino, presidia i territori e risulta anche integrata negli ecosistemi più selvatici, contribuendo a mantenerli.
Allevamenti in Italia: tradizione mancata
A questa visione edulcorata delle antiche tradizioni va però precisato che oggi solo il 3% degli allevamenti ovini presenti in Italia utilizzano sistemi transumanti. Invece, il 75% del totale degli agnelli macellati in Italia proviene dall’estero, se ne lamentavano proprio gli Agricoltori Italiani con una nota di aprile 2020. Si può quindi pacificamente affermare che il consumo di carne di agnello nel nostro Paese non ha nulla più a che vedere con la pastorizia tradizionale. Molto a che vedere ha, invece, con il riempimento dei frigoriferi dei supermercati del mondo attuale in cui, lo sappiamo bene, nessuna crudeltà è sufficiente a frenare la speculazione.
Storia e rituali
Nel contesto di un mondo antico e bucolico, oltre alle esigenze zootecniche, esistevano anche i rituali propiziatori che inauguravano l’inizio del ciclo stagionale dopo l’inverno.
Già in epoca latina, nel periodo della nostra Pasqua, si celebravano diversi riti di fertilità, dai Bacchanalia, a metà marzo, a quelli dedicati alle dee della Terra e dei raccolti Cibele e Cerere, verso la metà di aprile. La festa della primavera, legata all’equinozio, esiste persino in India e Nepal (Holi), celebrata da hindu e buddisti, e simboleggia rinascita e reincarnazione. Anche guardando al mondo anglosassone si può vedere in trasparenza qualcosa che preesisteva alle tradizioni di oggi. La parola Easter, ad esempio, riferita sempre alla celebrazione cristiana, ma così diversa dal latino “Pasqua”, deriverebbe da Eostre, il nome dell’antica dea germanica che impersonava il rinnovarsi della vita.
Senza scomodare gli antichi riti pagani, bisogna ricordare che anche le religioni monoteiste affondano le radici in civiltà nomadi, dedite soprattutto alla pastorizia. Nelle quali perciò l’agnello rappresentava la primizia, il bene più pregiato da sacrificare, ma il cui sacrificio era anche funzionale, come abbiamo visto. È toccato all’innocente agnello, quindi, prendersi il ruolo di “capro espiatorio” (si può qui intuire il senso di questa espressione).
Perché a Pasqua l’agnello?
A Pasqua l’agnello prende simbolicamente il posto del sacrificato, per esempio, nella festività musulmana di Id al-Adha (letteralmente festa del sacrificio) che commemora la mancata uccisione del suo primogenito Ismaele da parte di Abramo, patriarca anche dell’Islam. Dio stesso chiese il sacrificio, ma poi fermò la mano di Abramo dicendogli di sostituire al ragazzo un montone.
Nel Seder di Pesach, il piatto tradizionale della Pasqua ebraica, insieme al pane non lievitato e alle erbe amare, che simboleggiano la schiavitù e la fuga dall’Egitto, si trova la zampa di capretto, che commemora il sacrificio dell’agnello fatto la notte prima dell’Esodo. La Pasqua ebraica prende anche il nome di Chag haaviv, festa della primavera, una celebrazione che probabilmente preesisteva a Pesach.
Pasqua cristiana
Anche la Pasqua cristiana, a ben vedere, è strettamente collegata all’equinozio di primavera. Infatti, ha una data mobile, diversa ogni anno, che si regola in base al primo plenilunio della nuova stagione. Nel cristianesimo il periodo della Pasqua comprende il ciclo di morte, sepoltura e risurrezione di Gesù Cristo. Nessuna antica storia di agnelli, in questo caso, ma solo l’assunzione dell’agnello quale animale simbolo di Cristo stesso. Nel Vangelo di Giovanni viene descritto come l’agnello di Dio, che toglie i peccati dal mondo, sacrificatosi per il bene dell’umanità. Perché perpetrarne il sacrificio, allora?
Un consumo costante
Nel 2020 in Italia, gli agnelli a cui la Pasqua è costata la vita, sono stati circa 300.000 dei due milioni macellati durante tutto l’anno. Già così sembrano tanti, ma pensate che solo nel 2019 il pranzo di Pasqua è stato fatale per circa 750.000 agnelli e che dieci anni fa, in un anno, ne morivano oltre quattro milioni. Va notato, quindi, anche al netto della pandemia, della crisi della ristorazione, eccetera, che il calo dei consumi, per quanto ultimamente sia rallentato, sembrerebbe costante.
Se l’obiettivo è l’abbandono definitivo di usanze sorpassate, senza rinunciare alla celebrazione annuale del risveglio della natura, si potrebbe cominciare trovando altri simboli e inventando nuovi riti che magari non dispensino morte per festeggiare il ritorno alla vita.
di Paolo Sus
Articolo pubblicato ad aprile 2022 su FVM n.56
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