ma lo abbiamo valutato correttamente?”
di Elisa Orlandotti
Era il 28 luglio 2010 quando l’Onu dichiarava “il diritto all’acqua potabile e sicura ed ai servizi igienici un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani” e invitava “gli Stati e le organizzazioni internazionali a fornire risorse finanziarie, competenze e tecnologie, attraverso l’assistenza e la cooperazione internazionale in particolare verso i paesi in via di sviluppo, al fine di incrementare gli sforzi per fornire acqua potabile sicura, pulita, accessibile e disponibile e servizi igienico-sanitari per tutti”. Tra i 122 Paesi membri delle Nazioni Unite che hanno votato a favore della dichiarazione, purtroppo non vincolante dal punto di vista normativo, c’è anche la nostra Italia, già al tempo dilaniata dal dibattito sulla privatizzazione del servizio idrico con le Istituzioni che spingevano in tal senso e una imponente raccolta popolare di firme per fermare tali provvedimenti legislativi attraverso un referendum.
Nel giugno 2011 gli italiani hanno scelto: l’acqua deve rimanere un bene comune e la gestione non deve essere affidata ai privati, come invece prevedeva l’articolo 23 bis della Legge n. 133/2008.
La sovranità sull’oro blu, però, è ancora in discussione con bracci di ferro che si svolgono nell’ombra, a livello locale: Amministrazioni e società più o meno privatizzate cercano con escamotage all’italiana di aggirare la parola scritta ed entrare così in possesso di questa risorsa vitale, anche con la scusa di prendersene meglio cura. Informazioni sulle battaglie compaiono solamente sul sito del Forum italiano dei movimenti dell’acqua, sulle pagine redatte da Legambiente, in minimi trafiletti sui quotidiani delle province interessate (quotidiani magari coinvolti da interessi di parte) e su organi specializzati quali Il sole 24 ore. A fare gola, ovviamente, sono i risvolti economici.
Ma come sta la nostra acqua pubblica? Dalle campagne pubblicitarie che hanno portato al referendum del 2011 sono cambiate le abitudini degli italiani che preferivano quella in bottiglia al rubinetto? Un comunicato del Censis, istituto che sta fotografando come l’Italia reagisce alla crisi, titola “Acqua: tariffe più basse d’Europa e record di acqua minerale, acquedotti colabrodo e depuratori carenti”.
E’ del 24 maggio 2014 e i dati contenuti ci fanno riflettere: una famiglia di tre persone ha una bolletta dell’acqua di solo 307 euro l’anno (143 per il servizio dell’acquedotto, il resto serve per fognature e depurazione), ma spende anche 234 euro in bottiglie, inquinanti e meno controllate, cosicché la nostra nazione si aggiudica il poco lusinghiero primato di Paese europeo con il più elevato consumo pro-capite di acqua in bottiglia, addirittura il secondo al mondo.
L’approfondito rapporto rileva quanto le nostre infrastrutture idriche siano “carenti, obsolete e inadeguate” con una dispersione pari al 31,9% e quanto sia trascurata la depurazione con una media di 20% delle acque smaltite senza essere trattate adeguatamente, cosa che ci ha procurato già due condanne in sede europea e che mette a repentaglio la salute della popolazione e dell’ambiente. Altro dato che ci relega a fanalino di coda nel Vecchio Continente è quello degli investimenti per il mantenimento delle strutture, bassissimi, con una media annua di 30 euro per abitante.
In Italia poi il sistema gestionale è estremamente frammentato, essendo composto da oltre 300 soggetti distinti, e anche per questo ottimizzato e competitivo.
La fotografia scattata dal Censis ci ricorda quanto stiamo trascurando il nostro prezioso patrimonio e richiama l’attenzione delle Amministrazioni locali che dovrebbero prendersi cura di questa risorsa.
Noi dobbiamo, però, rivedere le nostre abitudini: perché consumare tanta acqua in bottiglia quando abbiamo a disposizione il rubinetto, super controllato ed economico? Sull’acqua comunale vengono eseguite circa 250.000 analisi ogni anno dal gestore del servizio, dalle Asl e dalle Agenzie Regionali di Protezione Ambientale con requisiti di qualità molto severi, mentre per quella in bottiglia la normativa prevede la revisione solo ogni 5 anni; se poi la prima è soggetta ad un viaggio sotterraneo che la preserva dalla luce e da sbalzi di temperatura, la seconda rimane chiusa per giorni, mesi, anni in un materiale che la può contaminare, soggetto a caldo/freddo, sole, urti e a un trasporto su gomma estremamente inquinante. Come se non bastasse, poi, la conservazione in PET sfrutta tonnellate di petrolio, la cui lavorazione emette anidride carbonica in quantità impressionante nell’atmosfera e lascia poi in discarica centinaia di quintali di plastica.
Hai mai provato il kit?
Molti preferiscono la bottiglia al rubinetto perché vedono immediatamente un’etichetta che indica l’esatta analisi, mentre non sanno cosa possa contenere l’acqua del Sindaco. Ebbene, oggi possiamo acquistare, in Rete o presso alcune catene di supermercati, un kit elaborato dall’Università Bicocca, che ci permette di conoscere in modo agile e sicuro la composizione di quanto arriva quotidianamente nelle nostre case, fornendoci tutto il necessario: cartine tornasole, tovaglioli, bicchierini e un cd interattivo esplicativo che ci illustra come effettuare noi stessi l’esame.