Templi meravigliosi, campagne bucoliche, città movimentate, mercati, fiumi, spiagge bianche. In Cambogia sarà sicuramente un’avventura!“
di Francesca Bresciani
Foto di Tommaso Cazzaniga
L’aria umida si riempie delle grida dei bambini che rincorrono sogni a piedi nudi, su strade di polvere e spensieratezza. Tommi si siede su una panca traballante e sfodera la penna con cui compilare i moduli di richiesta del visto cambogiano. Nel frattempo, una turista tedesca ha già svuotato tutto il suo bagaglio alla ricerca del passaporto.
Siamo a Chau Doc, in Vietnam, sulle rive del fiume Mekong.
Insetti elicotteri volano a pelo d’acqua, tra le bolle dei grossi pesci, mentre la nostra guida si assicura che tutte le carte per il confine siano in ordine. Una minuscola barca attracca e prendiamo posto a bordo. Il respiro si ferma un istante quando Rangsey lancia i nostri zaini sull’imbarcazione, come giocasse a bocce. Quello zaino è diventato casa mia, da qualche settimana a questa parte, e non vorrei dovermi buttare in acqua per salvarlo.
Partiamo. La corrente risucchia i pensieri portandoli a ritroso lungo il viaggio del grande padre Mekong: dal Vietnam fino alla Cambogia, poi Thailandia, Laos, Myanmar e Cina, fino alle vette dell’Himalaya. Quattromilacinquecento chilometri e cento milioni di figli che vivono grazie alla generosità del dodicesimo fiume più lungo del mondo.
I sussulti della barca sulle acque calme ritmano il mantra della traversata.
Ci fermiamo alla dogana vietnamita per circa mezz’ora, e, mentre Rangsey sbriga le formalità burocratiche, noi possiamo bere un caffè e scambiarci aneddoti con gli altri viaggiatori. Durante una seconda sosta alla frontiera cambogiana la guida ci mette in fila come paperotti davanti allo sportello e in un battibaleno otteniamo il visto per la Cambogia. Niente di più semplice.
Phnom Penh
Siamo in Cambogia. Lungo le coste spuntano dal nulla bambini magri, per guardare le barche che passano. Accanto a loro, sullo sfondo delle acque torbide e di un cielo tragico, i buoi dalla pelle bianca incarnano ideali di purezza.
Dopo circa sei ore, ecco finalmente Phnom Penh.
Recuperiamo lo zaino, salutiamo Rangsey e ci incamminiamo verso l’hotel. Un lungo viale bianco reso abbagliante dal sole costeggia il corso d’acqua e veste di eleganza la città. Edifici coloniali francesi color pastello si alternano a costruzioni magnifiche del periodo angkoriano. Hotel e ristoranti deliziosi si susseguono attirando il passante come pifferai magici.
Ci liberiamo del bagaglio e ci tuffiamo nella vita movimentata della capitale.
Ergendosi sopra il ronzio dei mille motorini, il tetto d’oro in classico stile Khmer del Royal Palace domina il profilo dell’abitato e attira l’attenzione del turista. Ci mettiamo in fila per comprare i biglietti e passiamo il controllo vestiti (gomiti e ginocchia coperti). L’enorme complesso fa a gara con il Royal Palace di Bangkok. La Sala del Trono – con le sue tegole dorate, i tappeti rossi, la magnificenza della torre che la incorona – costituisce solo una piccola parte della struttura. I padiglioni immensi, gloriosi, maestosamente regali sono sparsi nel giardino tra alberi piantati per stupire. Le guardie bloccano l’accesso all’area dell’attuale residenza reale, dove vive re Sihamoni, ma poco importa perché dobbiamo ancora visitare il complesso della Silver Pagoda, accanto al Royal Palace.
Chiamata anche “Tempio del Buddha di Smeraldo”, la pagoda deve il suo nome al pavimento rivestito con cinquemila lamine d’argento, ciascuna del peso di un chilo. Una scala di marmo bianco conduce alla pagoda, dove il piccolo Buddha di smeraldo siede su un piedistallo dorato. Di fronte alla pedana, un Buddha di dimensioni umane di novanta chili decorato con 2086 diamanti esaspera la regalità che permea ogni centimetro dell’edificio. Il complesso include padiglioni, una statua equestre, sacre reliquie e un giardino meraviglioso.
Ma tutto l’oro e la magnificenza dell’architettura Khmer non possono nascondere la storia terribile che ancora sussurrano i muri. Nel Tuol Sleng Genocide Museum, conosciuto come Security Prison 21 (SP-21), rivivono le vicende di più di diciassettemila prigionieri vittime della dittatura dei Khmer Rossi. Le foto dei reclusi prima e dopo le torture impediscono di dimenticare un passato che atterrisce e rattrista. Nei campi di sterminio situati a pochi chilometri dal centro della città delle guide esperte raccontano la morte dei prigionieri qui trasferiti dalla SP-21 e uccisi. Le visite lasciano un macigno nel cuore, nubi nella mente, e diventa indispensabile rituffarsi immediatamente nella bellezza della città.
Il Wat Ounalom, il più importante monastero della Cambogia, dove si dice sia custodito un sopracciglio di Buddha, e il Wat Phnom, un altro monastero dove si prega per avere successo e fortuna a scuola e negli affari, sono i luoghi ideali per immergersi nella pace e nel silenzio e riprendere le energie prima di affrontare i mercati.
Il Russian Market, l’Old Market, l’Olympic Market, il Night Market e infine il più importante, il Central Market. Abituati al caos di banchetti, mercanzie, grida e agitazione, siamo sorpresi nello scoprire il grande edificio in stile art déco, pulito, organizzato, educatamente ordinato. Nelle quattro ali si susseguono bancarelle che vendono orecchini lampadario, collane da regine, ninnoli appariscenti, abiti arcobaleno, macchine fotografiche dalla dubbia provenienza, cassette di manghi inebrianti, composizioni meravigliose di fiori di loto e molto altro.
Siem Reap
Dopo due intense giornate nella capitale, prendiamo il bus che ci porta nel vero cuore del paese, la ragione per cui ogni anno migliaia di turisti decidono di trascorrere le vacanze in Cambogia: Siem Reap e i suoi fantasmagorici siti.
Sei ore di autobus, una sosta in un ristorante lungo la strada dove una cucciolata di gattini decide di giocare proprio sotto il nostro tavolo, un piatto di riso e verdure saltate con il tofu e finalmente siamo al nostro hotel.
Non resistiamo, vogliamo vedere almeno Angkor Wat, il più vasto monumento religioso del mondo, prima che il sole tramonti. Saltiamo su un tuk tuk che per pochi riel ci porta fino alla biglietteria del parco archeologico. Con quaranta dollari a testa ci garantiamo l’accesso ai siti per tre giorni e una serata che non dimenticheremo facilmente. Passiamo lungo strade di terra e filari di alberi magnifici abitati da macachi. Vedere Angkor Wat è come un’illuminazione. Le tre torri dell’edificio principale bucano il cielo di un blu intenso, il fossato d’acqua protegge e isola il sito, sospendendolo in una dimensione quasi irreale. Scendiamo dal tuk tuk, davanti all’entrata principale sorvegliata dalle statue enormi del serpente a sette teste protettore di Buddha e del leone guardiano.
Un lungo terrapieno di pietra conduce al tempio, e unisce due mondi: quello degli uomini e quello degli dei.
Il sole sta tramontando e il profilo del sito più straordinario mai costruito è reso ancora più mistico dalle sfumature rosa e arancioni che ricordano monaci in preghiera. È tardi per avventurarci tra i templi, torniamo in hotel e ci addormentiamo esaltati. Il giorno dopo torniamo e percorriamo ogni centimetro del complesso. Le pareti prendono vita grazie alle bellissime Devata, donne scolpite nella pietra che sfidano l’immobilità della roccia con forme sinuose. Superiamo il primo cortile dopo aver reso omaggio a Vishnu, a cui è dedicato il tempio, e ci avviciniamo al centro del sito. Tre livelli terrazzati permettono di accedere alla torre centrale, sfiorando i bassorilievi e immaginando la grandiosità del passato Khmer.
Il tempo scorre con la stessa bellezza delle acque del Mekong, intrappolando i turisti in un viaggio che va ben oltre questo mondo.
Ta Prohm e Angkor Thom
Dopo Angkor Wat, il nostro tuk tuk di fiducia ci porta a visitare un luogo dove è inutile imbrigliare l’immaginazione: Ta Prohm. Costruito nel 1186 come tempio buddista dedicato alla madre del re, è oggi il sogno di ogni Indiana Jones o Lara Croft (e infatti qui hanno girato Tomb Raider). Non importa chi siate o quale lavoro facciate, qui l’avventura diventa possibile. Anzi, inevitabile. I grandi alberi hanno preso possesso del complesso, come rivoluzionari hanno conquistato e occupato i cortili chiusi, bloccato i corridoi angusti e intrappolato le torri. I bassorilievi ricoperti da licheni, muschi e foglie celano antichi racconti e leggende. Le fronde degli alberi giganti coprono il tempio filtrando i raggi del sole e avvolgendo l’area in una luce verde. È il regno della foresta, la vittoria della natura che si riprende ciò che le è sempre appartenuto. Radici tentacolari sventrano le costruzioni di pietra e crescono per fare fluire l’energia della terra in un mondo dove l’uomo è solo un visitatore.
Manca un terzo sito all’appello: la città fortificata di Angkor Thom. Al suo interno la vera attrazione è il Bayon, il tempio delle facce. I 216 volti della divinità buddista Avalokitesvara scolpite su 54 torri gotiche sorridono, ipnotizzano, incantano, inquietano. Le enigmatiche teste divine osservano e controllano la vita umana da ogni angolo, supervisionano un impero che ha cessato di esistere ma che ancora sembra aleggiare sopra le foreste per miglia e miglia.Ormai è sera, e abbiamo mangiato solo un ananas tra le rovine di Angkor Thom. La fame si fa sentire.
Tempo di tornare
Torniamo in hotel per una doccia, poi dritti nel centro di Siem Reap, la città dei backpackers. La notte a Siem Reap è molto diversa dalle giornate passate sotto il sole tra i templi. Musica, luci, ragazze che invitano i passanti per un massaggio, una pedicure, una manicure, vasche di pesci dove i turisti mettono a mollo i piedi gonfi per la famosa fish pedicure. Ristoranti pieni zeppi di gente, bancarelle che vendono souvenir, cibo, magliette, cappellini. Ci infiliamo tra le vie gremite ed esultiamo quando vediamo che il ristorante vegetariano che abbiamo scelto ha un tavolo libero. Accanto a noi una coppia di vecchi americani sta gustando un piatto di pasta con pesto di avocado e dopo pochi minuti ci troviamo a unire i tavoli per una cena fuori dall’ordinario.
Il giorno successivo possiamo tornare negli angoli che più ci sono piaciuti ed esploriamo altri siti: Banteay Srei, il tempio hindu rosa, e Preah Khan, un labirinto di corridoi fagocitato dalla vegetazione.
Si potrebbe trascorrere un’intera settimana tra templi e miti, senza mai annoiarsi, ma per noi è tempo di partire.L’autobus per Battambang ci aspetta.
Dopo essere stati sballottati per diverse ore che non rivivrei molto volentieri, arriviamo in città. L’architettura coloniale elegantemente in rovina e il lungo fiume quieto si apprezzano con una camminata serale. I cambogiani che fanno zumba nel parco lungo il fiume rallegrano l’animo provato dal viaggio scomodo. Battambang è una buona sosta in Cambogia, ma il meglio si trova al di fuori della città: le campagne bucoliche dove incontrare famiglie ospitali e i templi arrampicati sulle colline.
Molti scelgono di coronare un viaggio in Cambogia con qualche giorno sulle spiagge di Sihanoukville: sabbia bianca e acque cristalline, palme e cocktail.
Noi preferiamo le piccole isole thailandesi. Un bus ci porta fino a Pailin, da cui valichiamo il confine a piedi.
Lasciamo la Cambogia, certi di poterla aggiungere alla lista delle meraviglie del mondo e sperando di poterci tornare un giorno, quando avremo ancora voglia di sentirci intrepidi esploratori di templi e tesori.
Dove mangiare
La Cambogia offre moltissime opzioni vegan o vegan-friendly, e la cucina Khmer è un regalo che dovete fare alle vostre papille gustative. Ecco alcuni dei posti dove abbiamo avuto il piacere di mangiare:
Phnom Penh
-The Vegetarian: insalata di fiori e foglie di banana, involtini primavera, “pesce” vegan e molto di più (58, Street 19 off Sihanouk Blvd).
-Backyard Café: in perfetto stile occidentale, luminoso e con un menu super sano. Da provare la loro cheesecake raw e vegan (11B, Street 246, Sothearos).
-The Corn: una gemma. Ristorante Khmer e prevalentemente vegan. Il curry in stile Khmer vi stupirà (26, Preah Suramarit Blvd).
Siem Reap
-Banlle Vegetarian Restaurant: una vasta scelta di piatti deliziosamente vegan e asiatici (dal pad thai alla zuppa di wonton), in un giardino dove le rane cantano per voi (Street 26, Phum Wat Bo).
-Chamkar vegetarian restaurant: le ricette della tradizione Khmer rivisitate e veganizzate, un sogno (The Passage, Old Market).
Dove dormire
In Cambogia potete concedervi il lusso di fantasticare e fingervi avventurieri durante il giorno, per poi riposare e godervi un bagno in piscina la sera, per pochi dollari. I cambogiani sanno accogliervi e trattarvi come re e regine. Il mio hotel preferito è a Siem Reap: Golden Mango Inn, N. 0658, Road 6, Chongkaosou Village, Slorkram Commune.