di Sonia Giuliodori
L’estate è in arrivo e il pomodoro, nelle sue molteplici varietà, diventa l’ingrediente principe delle nostre tavole. Cotto o crudo, questa stagione è il suo regno.
L’Italia è il primo produttore europeo di pomodoro da industria (49% del totale UE) e il secondo a livello mondiale (in base ai dati pubblicati dalla rivista L’Informatore Agrario in un articolo di febbraio 2019). Sembrerebbe un bel traguardo per il nostro paese. Questo frutto rosso dovrebbe, a prima vista, offrire lavoro e redditività, alla luce del nostro posizionamento. Ma, in questo caso, forse è meglio se cerchiamo di capire veramente cosa bolle in pentola! La nostra agricoltura in generale sta subendo una forte concorrenza sui prezzi, dovuta in primis alla globalizzazione che accentua meccanismi di sfruttamento.
E a rimetterci sono sempre i più deboli. In questi ambiti trovano infatti terreno fertile le mafie e i malfattori. Temi di cui si è discusso a lungo a metà aprile, durante gli incontri organizzati da Casa Comune (la Scuola di formazione scientifica, dialogo culturale e incontro sociale del gruppo Abele) in una tre giorni presso la Certosa di Avigliana. Nel corso Il cibo che cambia il mondo. Verso una conversione ecologica e la creazione di reti comunitarie si sono susseguiti ospiti di eccezione, come Vandana Shiva, Don Ciotti, Gian Carlo Caselli e molti altri, per ragionare insieme su come poter limitare questi processi di devianza. Si è cercato di capire in quale misura le scelte di consumo pesino sull’economia globale e come sia nostro dovere essere più informati sulla filiera produttiva. Comprendere meglio i processi che si creano dietro la lavorazione delle terre, cosa veramente influenza il prezzo di vendita e cosa effettivamente stiamo pagando quando decidiamo di acquistare un determinato prodotto piuttosto che un altro sono tutti argomenti che vale la pena approfondire.
Ne abbiamo parlato con Yvan Sagnet, ingegnere delle telecomunicazioni e presidente dell’associazione promotrice del progetto No Cap. Molti avranno già sentito nominare questo ragazzo, un migrante arrivato dal Camerun che ha guidato nel 2011 la rivolta dei raccoglitori di pomodori in Puglia.
A distanza di anni da questa vicenda è doveroso fare il punto della situazione per capire cosa sia veramente cambiato. Dopo un primo battage mediatico, a ridosso dello scandalo, il tutto è andato a scemare, come se il problema non fosse più così presente nelle nostre campagne. Nessuno ne parla, se non in rare occasioni e a ridosso di sentenze, come quella emessa il 13 luglio 2017 in cui, per la prima volta in Italia, è stato finalmente riconosciuto il caporalato come reato di riduzione in schiavitù.
“Qualche passo in avanti lo abbiamo fatto grazie a questa legge e alle denunce sporte – afferma Yvan – però ci sono ancora lavoratori sfruttati e le problematiche dei ghetti che continuano a essere presenti sul territorio. Rimane tanto da combattere. Io, con l’associazione No Cap, sto intervenendo su altri aspetti e soprattutto sulle cause che generano questi fenomeni di sfruttamento. L’idea di aver creato un bollino etico è fondamentale, perché presuppone un controllo su tutta la filiera: bisogna agire sorvegliando il lavoro nelle campagne fino ai processi di distribuzione e commercializzazione. Noi andiamo a verificare sul posto la qualità del lavoro prima di certificare le aziende e per far ciò bisogna fare rete. Abbiamo bisogno di consumatori consapevoli e di produttori onesti. Accordi con altre associazioni e realtà che, come noi, vedono nella sconfitta dello sfruttamento un obiettivo da raggiungere.
C’è un problema di illegalità imprenditoriale diffusa. Non sono i migranti i responsabili, ma coloro che approfittano della loro situazione di estremo bisogno. A Nardò il caporalato continua ancora più forte. Servono controlli più serrati, bisogna sequestrare i furgoni, il sistema più usato per portare la manodopera sui campi. Saremo sempre punto e a capo se non interveniamo anche come governo. E al momento le proposte dei nostri ministri aiutano solo a favorire i fenomeni di sfruttamento”. Yvan spiega infatti che l’abolizione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari lascia i lavoratori stranieri che si trovano in Italia nelle mani degli aguzzini, rendendoli ricattabili da parte di questi ultimi perché rischiano di essere rimandati nei luoghi di guerra e miseria da cui provengono e non hanno il coraggio di sporgere denuncia. In questo circolo tutto il sistema è complice, inclusi noi consumatori che non ci chiediamo mai quanto dolore ci sia dietro un prodotto, come ad esempio i pomodori comprati troppo a buon mercato. Quale è stato il prezzo che alcuni uomini hanno dovuto pagare per farli arrivare sui banchi dei supermercati a pochi euro? Sfruttamento, fatica e umiliazione dei lavoratori. Ma scoprire cosa ci sia dietro la produzione di un marchio è difficile. Per questo iniziative come No Cap, o Funky Tomato per citarne altre simili, sono le benvenute. “Funky Tomato – continua Yvan – è una bella realtà. È iniziata quattro anni fa, lavorando in questa direzione, facendo i primi controlli sulla qualità delle condizioni dei lavoratori. Bisognerebbe avere tante Funky Tomato in tutta Italia. È necessario collaborare per creare una sinergia tra chi ha voglia di un cambiamento positivo nel sistema”. Purtroppo c’è chi preferisce farci credere che i migranti accatastati nei campi più o meno abusivi siano pericolosi. Ragioniamo. Dove sta il vero pericolo? Alla fine ci perdiamo tutti se non apriamo gli occhi su queste tematiche.
Cosa c’è dietro al bollino No Cap?
Il bollino etico è uno degli strumenti per premiare quelle imprese che vogliono avviare il percorso virtuoso e farlo sapere ai consumatori. Si pone l’obiettivo di cambiare il sistema d’impresa e di produzione a livello internazionale. Il bollino guarda all’intera filiera, dalle imprese della produzione a quelle della distribuzione.
Eticità del lavoro, economia circolare, rispetto dell’ambiente e della salute pubblica sono i principi fondamentali che vengono valutati nell’azienda e su cui sono assegnati i punteggi. Attivisti esperti in ognuno dei punti elencati si recano tra le imprese per verificare ed esigere il rispetto di questi principi. Solo dopo i controlli, No Cap rilascia il bollino.

Chi è Funky Tomato?
Funky Tomato è una filiera agricola partecipata, la prima che inserisce al proprio interno l’elemento culturale, come punto fondamentale e decisivo per immaginare e sperimentare un nuovo modello di produzione, con una particolare attenzione ai territori del Sud Italia e alle criticità della produzione del pomodoro.
Dal 2015 a oggi è stata creata una rete di produttori, trasformatori e consumatori che mette al centro gli esseri umani e i loro bisogni. Oggi conta centinaia di acquirenti, tra gruppi di acquisto solidale, pizzerie, ristoranti, singole persone, in Italia e in Europa, che vanno a costituire la comunità Funky Tomato. La loro ricetta? Un bilanciamento corretto di ingredienti: dignità, partecipazione e multiculturalità, scritti in un disciplinare di produzione di garanzia.