Avranno anche poco appeal, ma sono buone, ricche di principi nutritivi e del tutto gratuite (cosa che in tempo di crisi non guasta). E allora, perché non approfittarne?
di Sonia Giuliodori
State per estirpare quelle quattro foglie invadenti cresciute all’improvviso tra i gerani?
Fermatevi subito. Potrebbero essere l’ingrediente-chiave della vostra cena. Sempre che non abbiate già “condito” il tutto con concimi e fungicidi. È stato infatti calcolato che il 40-60% di ciò che regolarmente strappiamo dai vasi o dal terreno è gustoso e commestibile. Che si tratti di carota selvatica, ortica o trifoglio, le cosiddette erbacce non sono altro che le progenitrici dei cibi vegetali che acquistiamo oggi al supermercato. Ovvero le verdure delle nostre origini, con cui ci si cibava prima che, con l’avvento dell’agricoltura, ripetuti incroci ed esperimenti colturali di ogni genere le addomesticassero per ottenere esemplari di grosse dimensioni in quantità industriale.
Restringendo oltretutto la scelta a poche tipologie di piante. “Le innumerevoli erbe spontanee commestibili ci permettono di riportare in tavola la varietà, così importante per la nostra alimentazione” spiega il dottor Franco Berrino, oncologo e consulente della direzione scientifica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. “Hanno poi un grandissimo vantaggio rispetto alle erbe coltivate: vivendo in un ambiente difficile e spesso inospitale, sono più ricche di sostanze necessarie per proteggersi, utili anche per la nostra salute. A cominciare da vitamine e sali minerali, fino ai tanto raccomandati acidi grassi omega 3, contenuti soprattutto nelle erbe di montagna. Dove fa freddo la pianta produce infatti più grassi che la proteggono dalle basse temperature, proprio come accade nei pesci”.
A ogni verdura dell’orto, insomma, corrisponde ancora oggi un antenato selvatico. L’importante è saperlo scovare. Quindi, diamo pure il benvenuto a erbacce commestibili, possibilmente non troppo invadenti, sul terrazzo o nell’orto in linea con il concetto di naturale e armonica convivenza messo a punto dall’agricoltore giapponese Fukuoka e con le odierne tecniche di permacoltura. E poi prepariamoci ad andare “a caccia”. Una caccia tutta vegan, ovviamente. In cui la nostra vera natura di frugivori-raccoglitori possa esprimersi al meglio, nel rispetto di ogni singola pianta (che non va mai strappata con la radice) e di tutta la natura. Che sia in montagna o in campagna, possibilmente dopo una bella piovuta, procurarsi il cibo da sé regalerà una soddisfazione atavica e inaspettata. Allenandoci perfino a far fronte, oltre alla crisi, a eventuali periodi di emergenze alimentari o carestie. Armiamoci quindi di scarpe comode, manuale di riconoscimento, guanti, forbici e cestino di paglia in cui adagiare il raccolto senza che si schiacci. E poi partiamo: che il divertimento abbia inizio!
Ortica
Chi non riconosce la sua fine peluria urticante? Niente paura: una volta individuata su suoli incolti, lungo i fossati o in boschi umidi, le sue cime più tenere possono essere facilmente raccolte con forbici e guanti. L’azione urticante diminuisce già dopo un’ora e svanisce del tutto dopo 24 ore. Molto rimineralizzante, Urtica Dioica è ricca di vitamine A, B, C e K, antiossidanti, clorofilla e proteine. È disintossicante, antianemica e antinfiammatoria. Da provare sbollentata o al vapore e condita con olio e limone. Oppure in torte salate, risotti e minestre.
Portulaca o erba porcellana
È bassa e grassa. E sopravvive perfino se maltrattata e calpestata. Non si tratta di un caso disperato, ma di Portulaca oleracea, un’infestante amante dei terreni assolati che cresce ovunque, anche nelle fessure del cemento. E che non merita certo l’appellativo di erbaccia: ricca di vitamine e sali minerali, racchiude preziosi omega 3 antinfiammatori. Le foglie, leggermente carnose e dal sapore asprigno e un po’ terroso, sono succulente se addentate crude in insalata con un pizzico di sale, olio e limone. Ma sono squisite anche appena scottate su una base di cipolla, pomodoro e prezzemolo.
Papavero o rosolaccio
Bello e anche buono, Papaver rhoeas è l’infestante per eccellenza dei campi coltivati a cereali. Ha proprietà lievemente sedative, anche se non è lo stesso fiore da cui si ricava l’oppio. I petali si aggiungono alle insalate o si fanno essiccare per tisane calmanti, anche della tosse. Le foglie più tenere si saltano in padella con aglio, olio e peperoncino, o si aggiungono a minestre, sformati e farciture delle piadine. Infine i semi, da mettere nel pane, in salse per la pasta o yogurt, si raccolgono a settembre, quando i pericarpi cominciano a seccare.
Cicoria matta
Una credenza popolare vuole che per essere contraccambiati in amore il 29 giugno si debba raccogliere quest’erba amarognola senza sradicarla tenendo una moneta d’oro in mano. Che l’impresa riesca o meno, Cichorium intybus rimane un ottimo ingrediente per insaporire fresche insalate estive, per completare (previa lessatura) il classico purè di fave o arricchire l’impasto degli gnocchi, e regala delicatissimi fiori azzurri per decorare la tavola. Le foglie, simili a quelle del tarassaco ma più allungate e appuntite, racchiudono molti minerali e vitamine, aiutano la digestione, depurano e stimolano l’appetito.
Farinaccio o Farinello
Gli spinaci sono finiti? Nessun problema, basta andare a curiosare lungo un terreno incolto e il menu è salvo. Detto anche spinacio selvatico, Chenopodium album ha fusto eretto alto oltre un metro e foglie dal colore verde-azzurro biancastro un po’ farinose al tatto. Buona fonte di ferro, regala anche vitamine del gruppo B e proteine. È tenero e delicato, e si prepara esattamente come il suo lontano parente venduto al supermercato.
Tarassaco o dente di leone
Le sue foglie dentate e i fiori giallo-oro passano un po’ inosservati perché si trovano ovunque, ma è meglio approfittarne perché Taraxacum officinale è un concentrato di nutrienti, sostanze amare depurative per il fegato, fibre e mucillagini amiche dell’intestino. Ed è molto alcalinizzante, quindi antinfiammatorio. Le foglioline più tenere e i fiori si aggiungono all’insalata, quelle più coriacee si cuociono in sformati e risotti, i boccioli si mettono sott’aceto e le radici si stufano con porri e vino bianco.