Tra le carenze nutrizionali, quella del ferro, è la più frequente. Nel mondo, a vario livello di severità, ne è affetta circa il 30% della popolazione. Pertanto, l’insufficienza di ferro è una condizione da monitorare in diverse fasi della vita, sia per le donne sia per gli uomini. Esistono alcuni momenti nei quali è meglio prestare particolare attenzione ai livelli di questo elemento nel sangue e, in caso risulti sotto i limiti consigliati, correre ai ripari. Tra i sintomi che devono mettere in allarme ci possono essere pallore della cute, sensazione di spossatezza, eccessivo affaticamento anche per sforzi lievi, mani e piedi freddi, unghie e capelli deboli e mal di testa, anche acuti.
Ma non lo assumiamo con l’alimentazione?
La verità è che non sempre l’alimentazione ce ne fornisce un adeguato apporto, magari perché ne contiene poco o è poco biodisponibile; potrebbe essere anche che il nostro corpo non riesca ad assimilarlo correttamente o che necessiti di quantità più importanti rispetto a quelle che può dare la dieta. Le fasi della vita in cui dobbiamo maggiormente stare attenti sono verso i cinque mesi quando finiscono le scorte che la mamma ha passato al neonato, nel periodo prescolare e scolare quando il rapido accrescimento del fisico necessita di tanto ferro, durante l’adolescenza soprattutto delle ragazze per l’arrivo del ciclo mestruale, nell’età fertile delle donne a maggior ragione se il ciclo mensile non è costante o è abbondante, durante la gravidanza e l’allattamento per la produzione di globuli rossi del nascituro, per mantenere allo stesso livello quelli della madre e per un corretto sviluppo della placenta. E ancora: nei periodi di attività sportiva intensa o agonistica per un migliore trasporto dell’ossigeno nei tessuti muscolari, e durante la senescenza per un sopravvenuto cattivo assorbimento dagli alimenti. Attenzione quindi, visto il lungo elenco di possibili carenze, a tenerlo sempre monitorato!
I falsi miti
Approfondiamo ora la questione legata alla nutrizione per abbattere alcuni falsi miti: se è vero che un regime dietetico che prevede carne rossa apporta ferro biodisponibile ed assorbibile, è anche vero che apre la strada ad altri inconvenienti come un innalzamento del colesterolo e una produzione di scorie dovute alla digestione non sempre facili da neutralizzare, come ad esempio le purine che come scoria finale dà l’acido urico il cui accumulo è fonte di numerosi disturbi. Inoltre la quantità assorbibile giornalmente è limitata per cui un eccesso di carne rossa non migliora un’eventuale carenza. Le fonti vegetali, d’altro canto, sono ricche di questo minerale, ma esso non è completamente biodisponibile ed assorbibile; ci possiamo aiutare assumendolo assieme a cibi che contengono la vitamina C, in grado di ridurre il ferro da trivalente a bivalente, permettendone così l’assimilazione.
Ma perché ricorrere a un integratore? E quale scegliere?
Perchè, a differenza del farmaco, l’integratore contiene una quantità di ferro che compensa eventuali insufficienze e può essere preso per tempi lunghi, visto che ci vogliono due o tre mesi per ricomporre le nostre riserve. Non ha senso infatti prendere farmaci che lo contengono in quantità elevata e in qualità non fisiologica: meglio prendere un integratore che apporta quantità più basse ma fisiologiche per un periodo di tempo più lungo. E magari è meglio scegliere formule in associazione ad altri nutrienti importanti, come possono essere l’acido folico e la vitamina B12, che, assieme al ferro, sono la triade che sta alla base della formazione dell’emoglobina, molecola presente dentro i globuli rossi capace di trasportare l’ossigeno nel sangue dai polmoni ai tessuti.
Altra accortezza: usiamo integrazioni di ferro bivalente e non trivalente, che sia nelle giuste dosi e che vengono completamente assorbite senza apportare effetti fastidiosi collaterali come alitosi, crampi, senso di pesantezza dello stomaco e feci molto scure.
Articolo realizzato con il contributo di Biotrading