la compassione e l’empatia sono sentimenti innati che vanno solo riscoperti.”
di Christian Pettenello (il Viaggiatore Vegano)
Il profondo Nord dell’India
La regione del Ladakh è nata da un territorio che è stato diviso dallo stato di Jammu e Kashmir, che si trova nella parte più settentrionale dell’India, tra la Cina e il Pakistan. Racchiusa dalle impervie catene montuose del Karakorum e dell’Himalaya e vietata al turismo fino al 1974, rappresenta una meta insolita e avventurosa da raggiungere a bordo di una Royal Enfield 500.
Info di viaggio: documenti da portare
Per affrontare questo viaggio è indispensabile sbrigare alcune formalità burocratiche: serve infatti il visto turistico per l’India e la patente internazionale, un documento che va richiesto alla motorizzazione civile prima della partenza.
L’arrivo all’aeroporto di Delhi è semplice e regolare, controllo del passaporto e ritiro del bagaglio senza problemi di sorta, al punto che mi abbandono in quel limbo di comfort vacanziero che provo appena mi chiudo la porta di casa alle spalle. Vuoi per l’aria condizionata dell’aeroporto o per la gentilezza delle persone che incontro, appena esco dalla struttura l’impatto con l’aria calda e umida, il frastuono incessante dei clacson e il caos generale di Delhi mi travolgono all’improvviso. Ma è proprio quello che sto cercando.
Delhi
Passo una notte a Delhi, aspettando l’autobus che mi porterà a Manali, dove noleggio la mitica Royal Enfield 500, moto di produzione indiana derivante da un dipartimento di quella che fu una industria inglese che produceva armamenti, tanto che il loro motto fu “Made like a gun, goes like a bullet” (Costruita come un cannone, va come un proiettile NdA).
Il viaggio da Delhi a Manali dura circa dodici ore per coprire una distanza di cinquecentocinquanta chilometri. Alla guida dell’autobus c’è un autista indiano folle che a ogni sorpasso zittisce all’improvviso il chiacchierio dei passeggeri, intenti ad allungare il collo per vedere se la corsia di sorpasso sia libera. Vorrei dirvi che il viaggio è sereno, ma in realtà i sorpassi terminano sempre schivando i camion che arrivano in senso opposto con una precisione chirurgica che la dice lunga sul fatto che il buddhismo abbia così tante divinità da adorare. Ma questo è solo l’inizio, io devo ancora mettermi in strada.

Il lago di Pangong Tzo
La strada fino a Leh, il cuore del Ladakh
La Royal Enfield 500 è la moto che vanta il ciclo di produzione più lungo di qualsiasi altra moto, essendo fabbricata in modo continuo fin dal 1948!
All’inizio sono molto dubbioso per via del feeling così diverso dalle moto europee alle quali siamo abituati: freno a tamburo, quasi come non averlo, e avantreno che vive di vita propria; deve portarmi fino a Leh, la città nel cuore del Ladakh, percorrendo una strada scolpita lungo la catena himalayana come un graffio sulle montagne più belle del mondo.
Il percorso
La strada si snoda per quattrocentosettantotto chilometri e si mantiene in quota sui quattromila metri; fiancheggia sbalorditive formazioni rocciose e il punto più alto è il passo Tanglang La a oltre cinquemilatrecento metri.
La pendenza scoscesa e la scarsità dell’asfalto trasformano la strada in uno sterrato polveroso o fangoso a seconda delle condizioni meteo; inoltre la via è spesso attraversata da torrenti di acqua ghiacciata. Per guadarli in moto bisogna avere una certa esperienza ed essere allenati per riuscire a trovare il percorso migliore tra l’acqua e le rocce sul fondo, oppure abbandonarsi alla fortuna e all’incoscienza come faccio io di solito, confidando di più sulle doti delle moto che sulla mia abilità di motociclista.
La prima notte
Trascorro la prima notte a Sarchu, a quattromilatrecento metri circa, in un accampamento di tende allestito apposta durante i quattro mesi estivi nei quali la Manali-Leh Highway rimane aperta prima di essere sommersa dalla neve. Durante la prima notte a quella altitudine, vi posso garantire che il mal di montagna si fa sentire con tutta la sua tenacia. La condizione di malessere è causata dal mancato adattamento dell’organismo alle grandi altitudini, in particolare dovuta alla più bassa pressione atmosferica che determina una ridotta presenza di ossigeno nell’organismo. Segni particolari? Cefalea, perdita di appetito, senso di nausea, fatica e insonnia. Fortunatamente già il giorno dopo mi acclimato e riparto alla grande verso Leh… dopotutto i vegani hanno quel particolare talento di poter sopravvivere a condizioni ambientali critiche pur di rompere le scatole a chi ancora contribuisce allo sfruttamento e alla morte degli animali!
Paesaggi mozzafiato e insoliti autisti
La strada prosegue in un susseguirsi pazzesco di pendii rocciosi e ampie vallate verdeggianti circondate da cime ricoperte di neve che brillano al sole. Tuttavia, non è semplice distogliere l’attenzione dalla carreggiata e dalle altre vetture guidate da indiani, apparentemente senza rispettare alcuna regola. Pazienza i grossi camion, che comunque dimostrano una certa cortesia verso le moto, il pericolo più grande è dato dai pulmini o dai taxi che sfrecciano e sorpassano senza criterio. Come difendersi da tale screzio? Nelle strade indiane devi suonare il clacson, sempre, a tutti, ovunque vai. Non importa se la moto perde i bulloni o la marmitta, se non funzionano i freni o le luci, il clacson deve funzionare sempre altrimenti sei perduto!
Sono arrivato a Leh in tarda serata accompagnato da un fresco tramonto e sempre più carico di entusiasmo.
Khardung La e i cammelli della Valle di Nubra
Leh
Leh è la capitale del Ladakh situata a circa tremilacinquecento metri sul livello del mare. Per secoli è stata un importante crocevia di scambio delle merci tra il Tibet a est, il Kashmir a ovest e tra la Cina e l’India, che hanno lasciato la propria testimonianza con palazzi e monasteri. Oggi è il centro turistico della regione, raggiungibile da Delhi con un volo diretto.
Mi riposo per un giorno camminando nella piazza principale della città, tra i vari negozi e i venditori di frutta e verdura lungo le strade mentre penso di affrontare il passo carrozzabile più alto del mondo, il Khardung La a 5602 metri, nonostante una più recente misurazione lo veda a una quota più bassa.
Sull’infinità della catena himalayana
Il mattino seguente parto che ancora è buio e comincio a salire di quota; come in un sogno, la notte si scioglie nell’alba sull’infinità della catena himalayana. Gran parte della strada per raggiungere il Khardung La, costruita nel 1976, è oggi asfaltata, ma gli ultimi dodici chilometri di sterrato pieno di buche, massi, frane e guadi di acqua gelida sono davvero impegnativi. È consigliabile non sostare molto in cima al passo, quindi proseguo il mio viaggio scendendo dal lato opposto, in direzione della Valle di Nubra, la mia prossima tappa.
La valle di Nubra
La Valle di Nubra è un luogo magico e remoto, lontano dal caos di Delhi, che mi ha accolto i primi giorni. È il posto ideale dove ritemprare lo spirito e la mente, una destinazione unica al mondo dove la natura regna incontrastata e la presenza dell’uomo è ridotta al minimo. Pernotto a Diskit, il centro principale della valle, dove si trova l’omonimo monastero in cui è conservata una splendida statua di Maitreya Buddha alta trentadue metri risalente al quattordicesimo secolo.
La Valle di Nubra custodisce al suo interno anche un deserto sabbioso, circondato da oasi verdeggianti e, oltre le dune di sabbia, in lontananza, si possono osservare le cime delle montagne perennemente innevate. Una composizione spettacolare oltre ogni descrizione. È facile incontrare gruppi di cammelli battriani, alti circa due metri, che si muovono in cerca di cibo. Io ho la fortuna di incontrare un gruppo di cammelli domestici, che vengono usati per brevi escursioni turistiche nel deserto, una pratica della quale si può fare volentieri a meno al giorno d’oggi. Ho passato la notte sognando… e sono ritornato a Leh il giorno dopo scavalcando di nuovo il Khardung La con più facilità.
Il lago Pangong Tso e i noodles tibetani
Sempre usando Leh come base d’appoggio, parto questa volta verso est, in direzione del lago Pangong Tzo. Si tratta di un maestoso specchio d’acqua situato a una quota di 4350 metri sul livello del mare e si estende dall’India alla Cina per ben centotrentaquattro metri con una larghezza massima di cinque chilometri! Pensate che in inverno ghiaccia completamente nonostante sia salato. Il lago rappresenta un importante punto di sosta per gli uccelli migratori e lì ne hanno di sicuro da bere! È inoltre molto facile incontrare marmotte alquanto socievoli come testimonia il mio incontro ravvicinato.
Nei pressi del lago è possibile soggiornare in tende o bungalow allestiti per la stagione estiva. Nel modesto villaggio trovo un piccolo ristorante con una ragazza tibetana che prepara un delizioso piatto di noodles “fatti in casa”. Il suo segreto? Tagliare la verdura sottile con una mannaia affilata da far paura a Jason di Venerdì 13 di Marcus Nispel (Universal Pictures, 2009), soffriggere il tutto in un wok professionale a fiamma moderata, aggiungere i noodles fatti a mano che nasconde sotto al tavolo, saltare il tutto per qualche minuto e voilà! Naturalmente voglio assaggiare anche i momo di verdure (sorta di ravioli che vengono cotti al vapore o fritti NdR) che ha preparato la mattina stessa perché di insalata non c’era l’ombra e io, da buon vegano, qualcosa dovevo pur mangiare!
Cibo e religione
L’India è senza ombra di dubbio il paradiso per i vegetariani. Nella regione del Ladakh quasi tutti i ristoranti espongono la scritta “VEG and non veg” che significa che offrono una cucina vegetariana e non (di solito a lasciarci le penne sono i polli). Molti altri invece riportano nella loro insegna la scritta “PURE VEG” ovvero offrono solo una cucina vegetariana. Ovviamente si trovano anche uova e derivati del latte, ma moltissimi piatti sono di per sé vegani o possono essere facilmente adattati alla nostra scelta. Le ragioni che portano molti piatti della cucina indiana a essere senza carne e pesce vanno ricercate nella religione.

Ristorante tibetano
Il buddhismo
Il buddhismo, nato qui, ha fatto del biocentrismo un cardine del proprio pensiero. Uno dei principi chiave del buddhismo si basa infatti sulla convinzione che quella umana sia solo una delle sei possibili condizioni di esistenza del ciclo vitale al quale tutti gli esseri senzienti sono sottoposti fino al raggiungimento della liberazione finale, il Nirvana. Lo stesso Buddha si dice sia stato, nelle sue vite precedenti, tartaruga, scimmia, elefante e lepre. I buddhisti portano il massimo rispetto verso tutti gli animali, poiché non farlo significherebbe la futura reincarnazione in un essere “inferiore”. Sono quindi vietate la caccia, la vivisezione e tutte le azioni che comportano sofferenza da parte dell’animale. Di conseguenza la pratica del vegetarianismo è consigliata e gli indiani accolgono sempre con piacere la nostra scelta di non mangiare gli animali.
Induismo
Anche secondo l’induismo, religione che abbraccia quasi l’80% della popolazione, gli animali hanno pari dignità rispetto alla vita di qualsiasi altro essere vivente e per questo l’induismo vieta l’uccisione e il consumo di carne animale, ma non tutti gli induisti si attengono al vegetarismo. Questo tipo di insegnamenti sono totalmente assenti nel cattolicesimo, che approva il consumo di carne considerando gli animali come creature subordinate all’uomo. Un esempio su tutti è la barbara pratica di cibarsi di agnelli a Pasqua. Nell’Islam, nonostante ci siano diversi episodi che testimoniano la compassione di Maometto verso gli animali, questi devono essere coscienti al momento dell’uccisione che deve avvenire recidendo la trachea e l’esofago in modo che la morte sopravvenga per il dissanguamento completo dell’animale (carne halal). Tutto ciò non vuol dire che bisogna convertirsi per porre fine ai maltrattamenti, agli allevamenti intensivi e all’uccisione degli animali perché la compassione e l’empatia sono sentimenti innati che vanno solo riscoperti. Poi c’è chi ci arriva prima di altri, ma questo è un altro discorso.
Tratto da FVM n.59
Cosa mangiare

Momo di verdure
Nei centri abitati di Manali e Leh è molto facile trovare cibo vegano: si va dalla classica insalata greca vegan con tofu (buonissimo, dovete provarlo!), agli hamburger di patate e funghi fatti in casa, ai momo di verdure, oppure a piatti con patate dolci arrostite, melanzane fritte, humus e fantasia dello chef. Quasi ovunque è possibile ordinare il dahl, la tipica zuppa di lenticchie indiana accompagnata dall’immancabile chapati, pane non lievitato di farina integrale di frumento, impastato con acqua, che viene consumato da solo o con verdure e spezie, di regola appena tolto dal fuoco.
Talvolta l’impatto con la cucina indiana può non essere facile per via della grande abbondanza di spezie che vengono impiegate. Preparatevi a sollecitare le vostre papille gustative con pepe nero, coriandolo, cumino, tamarindo, cardamomo, zafferano, curcuma, cannella, curry, noce moscata, aglio e… peperoncino rosso! E per sgrassare un po’ il gargarozzo vi consiglio di ordinare il tè al limone e zenzero.
Appena usciti dalle città, la scelta si riduce in modo drastico. Fondamentalmente ce la si gioca tra riso fritto con verdure oppure noodles saltati sempre con verdure, accompagnati da un’insalata di carote, pomodori, cipolla e cetriolo.
Ricetta facile di dahl
Il dahl è un tipico piatto indiano a base di lenticchie. In genere il nome è seguito da una sigla che specifica il tipo di lenticchia che viene usata per prepararla, dato che in India se ne trovano numerose varietà. Una per tutte, il dhal bianco, un tipo di lenticchie bianche, non scure come quelle che siamo abituati a mangiare in Italia. Caratteristica del dahl è che le lenticchie non vengono mangiate intere, bensì frullate, ridotte in purea, tipo una crema densa.
Procedimento
Preparate il soffritto versando un po’ di olio in una padella e facendo rosolare la cipolla, l’aglio e il peperoncino, dopo averli tagliati a pezzettini. Aggiungete in seguito lo zenzero e la curcuma lasciandoli rosolare per un paio di minuti.
Versate lenticchie e cuocete a fiamma bassa con il coperchio per mezz’oretta. Aggiungete, man mano che si asciugano, un mestolo di brodo: i legumi devono arrivare a disfarsi raggiungendo una consistenza cremosa e densa. Delle lenticchie deve rimanere solo il sapore, non la forma.
In un padellino a parte tostate leggermente i semi di cumino con molta attenzione perché le spezie sono delicate e ci vuole poco a bruciarle. Quando le lenticchie raggiungono l’aspetto di una crema, aggiustate di sale, insaporite con i semi di cumino tostati e spolverate con il coriandolo. Il vostro dahl è pronto per essere servito e gustato!
(per 6 persone)
Ingredienti
300 gr di lenticchie (colorazione a scelta)
1 cipolla
brodo vegetale qb
2 spicchi di aglio
1 peperoncino rosso piccante
1 cucchiaino di curcuma
1 cucchiaino di semi di cumino
1 cucchiaino di zenzero grattugiato
1 cucchiaino di coriandolo
olio di semi qb
sale qb
Incuriositevi leggendo altri racconti della nostra sezione Running Away. E se la voglia di cucinare tipico è volata alle stelle, date un’occhiata al nostro corso in FunnyVeg Academy dedicato alla cucina indiana: I sapori dell’India!