il giovane indonesiano ci fa cenno di guardare in alto, per un momento tutto si ferma, come se il mondo intero stesse tenendo il respiro“
di Francesca Bresciani
Foto di Tommaso Cazzaniga
Quando la sveglia suona, alle tre del mattino, ho già indossato il pile e gli scarponcini da trekking. Tommy si trascina fuori dal letto a fatica e cerca i vestiti nel buio, stropicciandosi gli occhi. Pochi minuti dopo, siamo su una jeep 4X4, sballottati come i numeri che vengono estratti nel bingo. Ci troviamo nel Bromo Tengger Semeru National Park, nella parte orientale di Giava, in Indonesia. La jeep si infila nel groviglio di altre macchine, turisti e cavalli, e la nostra guida ci invita a seguirla lungo il sentiero che conduce al punto panoramico di Penanjakan. Camminiamo nel buio, disegnando una traccia di luce con una piccola torcia e seguendo Intan come papere goffe. Quando il giovane indonesiano ci fa cenno di guardare in alto, per un momento tutto si ferma, come se il mondo intero stesse tenendo il respiro.
Il Bromo
La Via Lattea brilla sopra le nostre teste, milioni di minuscole stelle accendono il cielo di stupore. Procediamo lungo il percorso, con il naso all’insù. Raggiunto il punto di osservazione, Intan ci annuncia sorridente che dobbiamo solo aspettare l’alba e il Bromo si manifesterà in tutta la sua maestosità. Gli occhi si sforzano di perforare il buio fitto e intravedono il profilo di uno dei vulcani più attivi al mondo. Il freddo pungente rende i visitatori irrequieti. Intan si avvicina e, con sguardo complice, ci propone di lasciare il gruppo rumoroso indietro e arrampicarci “un po’ più in alto, dove poter ammirare l’alba in silenzio”. Detto fatto. O quasi. Seguo Intan tra i cespugli, a cui mi aggrappo disperatamente quando la terra mi scivola sotto i piedi. Con la visibilità di una talpa e l’agilità di una cassapanca riesco ad arrivare in cima, giusto in tempo per l’alba. La coltre di buio che avvolge il vulcano si dissipa lentamente, le prime luci rivelano i tratti del cono fumante. La platea di spettatori si zittisce. Il Bromo si erge da dentro la caldera di Tennger, il cratere vulcanico dal diametro di circa dieci chilometri, circondato dal Pasir Laut, il “mare di sabbia”. È come assistere a un’epifania, alla manifestazione del dio Brahma, il grande creatore della tradizione indù da cui deriva il nome Bromo. Nuvole grigie di cenere riempiono il cielo, sputate fuori dalla bocca del gigante.
Il nostro tour, prenotato a Surabaya due giorni prima, prevedrebbe di camminare nel mare di sabbia e scalare il vulcano. Ma le condizioni eccezionali impediscono l’accesso alla caldera. Il Bromo si è risvegliato e per qualche settimana farà piovere cenere su Giava, minaccioso e imprevedibile. Restiamo paralizzati di fronte alla manifestazione della potenza, al contempo distruttrice e benevola, della natura. Anche Intan si commuove e dice che oggi il Bromo è in vena di poesia. “Io vengo qui quasi tutte le notti, ho imparato ad ascoltare la sua voce”.
Vulcano Ijen
Il sole sorge e il cielo diventa turchese; è ora di tornare. Nel pomeriggio il nostro autista ci accompagna fino all’hotel dove riposare prima di affrontare la seconda tappa della nostra avventura: il vulcano Ijen. Questa volta, nemmeno si va a dormire. A mezzanotte si parte per raggiungere l’inizio del sentiero che conduce in cima al vulcano. Sono solo tre i chilometri da percorrere. Peccato che il buio si tagli con il coltello, la nostra guida abbia deciso di allenarsi per Ironman e ci faccia continuamente sapere dove e come vari turisti sono scivolati e finiti male. Dimenticavo, alcuni tratti sono praticamente verticali. Arrivati in cima ho un momento di esaltazione e soddisfazione, che dura un minuto, il tempo di rendermi conto che ora dobbiamo discendere la cavità. Se il Bromo ha rappresentato una visione divina, il cratere dell’Ijen è stato una discesa agli Inferi. È, infatti, uno dei posti più straordinari, ma anche più pericolosi del mondo. Il vulcano attivo emette costantemente lava ed esalazioni di zolfo a oltre 500 gradi centigradi. È proprio lo zolfo a rendere il luogo incredibile: a contatto con l’aria, il gas prende fuoco creando fiamme blu che illuminano la notte di inquietante magia. Man mano che penetriamo nell’oscurità del cratere, le lingue di fuoco diventano più visibili. Le ombre nere dei visitatori si stagliano contro la luce ectoplasmica, le fiammate si alzano fino al cielo come spettri. La nostra guida insiste per farci proseguire oltre, ma non abbiamo una maschera per proteggerci dalle esalazioni altamente tossiche e preferiamo mantenere una distanza di sicurezza. E poi, non vorrei mai incontrare Ade.
Come ogni inferno che si rispetti, anche l’Ijen ha i suoi dannati. Decine di minatori pelle e ossa e senza età si caricano sulle spalle, in larghe ceste di bambù, fino a cento chili di zolfo. Risalgono per duecento metri il cratere tra le esalazioni, lentamente, poi scendono fino al villaggio ai piedi del vulcano per vendere il materiale a circa cinque dollari a cesta. I più forti lo fanno due volte al giorno.
Quando il sole sorge, l’incantesimo della fiamma blu svanisce e risaliamo in cima al vulcano, da cui si può osservare il lago turchese che riempie la caldera. Acque dal colore stupendo, solo apparentemente celestiale, ma in realtà letali perché ricche di acido solforico. Mai avrei immaginato che l’inferno potesse essere così bello.
Con la luce del mattino, ripercorriamo la strada dell’andata scoprendo tutto quello che l’oscurità aveva tenuto nascosto: le cime del complesso vulcanico spuntano dalla nebbia surreale, campi e alberi colorano di verde i pendii e le distese sottostanti.
Bali
Ci trasciniamo fino al pulmino che ci aspetta e sveniamo in auto. Quando ci risvegliamo penso che, forse, sto ancora sognando. Finalmente, siamo in fila per imbarcarci sul traghetto che porta in paradiso: Bali è la nostra prossima destinazione. Bali non è semplicemente una delle più famose tra le quasi 18.000 isole indonesiane. È un’esperienza. La strada che conduce a Ubud passa attraverso foreste tropicali verde brillante ed è costellata di templi dai colori sgargianti. Bali è l’unica isola indonesiana a maggioranza indù; i suoi 20.000 templi diffondono profumo di incenso ed emanano un’aura di misticismo ovunque.
Ubud il centro culturale dell’isola, il luogo dove camminare nel mercato centrale e ammirare l’artigianato locale: sfiorare con le dita un vaso variopinto, farsi affascinare da una maschera per la danza, comprare un batik di straordinaria fattura. È la città dove sedersi al tavolo di un warung (ristorante) e concedersi un viaggio dei sensi tra aromi, spezie, profumi. Zenzero, aglio, curcuma, tamarindo, galangal, kaffir lime sono solo alcune delle spezie che esaltano il gusto fresco, tropicale e armonioso dei piatti. Cocco, rambutan, papaya, mangostina, salak e longan sono frutti, ma anche formule magiche che seducono. Camminiamo a lungo per le vie dove sfrecciano i motorini, infilandoci di continuo in piccoli negozi e café popolati da hippy moderni, artisti, nomadi digitali, seguaci dell’ultima scuola di yoga, guru della meditazione o della moda, backpacker. Torniamo in hotel per rilassarci nella piscina circondata da colline verdissime, mentre la musica balinese (gamelan) trasporta i pensieri nell’iperuranio della felicità. Vorremmo vivere qui per sempre.
Sacred Monkey Forest Sanctuary
Il giorno dopo comincia con una visita al Sacred Monkey Forest Sanctuary, il famoso santuario delle scimmie di Ubud: tre templi indù immersi in una lussureggiante foresta palpitante di energia cosmica. Il profumo delle foglie dei banani e della pioggia, il suono dell’acqua che scorre placida nei ruscelli argentei tra padiglioni e pagode. E centinaia di macachi dispettosi. Un turista giapponese ne fotografa uno, che in un battibaleno gli ruba occhiali allo sprovveduto visitatore. Per fortuna, una donna balinese tira una mela alla scimmia-Lupin e con incredibile destrezza prende al volo gli occhiali prima che tocchino terra. Il giapponese è ben felice di ringraziare la donna con cinque dollari; in quel momento mi sembra di intuire una qualche complicità tra la donna e il macaco.
Usciamo dal fantastico regno delle scimmie e lasciamo che un tassista ci accompagni a scoprire le mirabolanti bellezze dell’isola.
Il Tempio di Ulun Danu Bratan
La foto perfetta per una cartolina di Bali: sospeso sulle acque del lago Bratan, come una visione onirica. Il colore nero dei tetti contrasta con l’acqua blu fiordaliso e il verde delle montagne smorzato dalla nebbia leggera. La presenza della dea Dewi Danu aleggia tra fiori e incensi. Respiriamo l’alito divino che circonda ogni cosa, qui a Bali, e montiamo in macchina. Il tassista parte, e ci accompagna in mezzo ai campi di riso. Il grigio del cielo esaspera il verde smeraldo dei campi. Il labirinto che le risaie formano sulle colline disegna un mandala con diverse sfumature di verde.
È il momento perfetto per una degustazione di tè. La nostra guida conosce una piantagione dove ogni tazza di infuso si trasforma in un vero e proprio rituale. Una ragazza ci fa accomodare su una panca di legno e in pochi attimi, in fila sotto i nostri occhi, si materializzano vasetti colmi di foglioline essiccate. Un arcobaleno di aromi preziosi. Tè al frutto della passione, allo zenzero, al ginseng. Tè che profumano di foresta, di sole, di templi. E infine, lui, il caffè più costoso del mondo: il kopi (caffè) luwak (zibetto), il caffè dello zibetto indonesiano. Il luwak mangia le bacche di caffè, digerisce la parte esterna e defeca i chicchi, che mantengono un sapore più dolce, con un retrogusto di cacao e una forte nota selvatica. Il caffè così ottenuto è un prodotto pregiato e ricercato. Purtroppo, i poveri luwak vengono catturati e costretti a mangiare grandi quantità di bacche in cattività. Compriamo del “normale” caffè al cocco, boicottando lo sfruttamento del povero zibetto. Un’altra sosta per comprare delle fragole dolcissime e siamo di ritorno all’albergo.
Kuta
Il giorno dopo ci trasferiamo a Kuta, dove la spiritualità lascia il posto a surfisti australiani, negozi e centri commerciali. Mentre Tommy prende lezioni di surf sulla bellissima spiaggia di Kuta, io mi godo il sole e organizzo una serata speciale: la danza di Kecak al Tempio di Uluwatu. Arroccato su una scogliera a sud dell’isola, sulla penisola di Bukit, è uno dei posti più suggestivi di Bali. Scavato nella roccia corallina, protende la sua benedizione verso l’oceano, respingendo i nemici e le influenze negative. Sotto di lui, i surfisti sfidano le onde che si infrangono contro gli scogli con violenza.
Sembra di essere ai confini del mondo.
Danza Kecak e templi indonesiani
Poco prima del tramonto, prendiamo posto nel teatro che si affaccia sull’Oceano Indiano. Originariamente danza sacra utilizzata come strumento di comunicazione con gli dei, la danza Kecak è oggi una vera e propria forma d’arte che racconta le storie del Ramayana, il più celebre poema epico indù. È accompagnata da un coro di circa settanta persone, senza strumenti musicali. I vari personaggi irrompono nella scena con costumi luccicanti e danzano chi con impeto, chi con eleganza e grazia. Il sole che tramonta e infiamma il cielo rende lo spettacolo indimenticabile.
Un altro tempio marino che merita di essere visitato è il Pura (tempio) Tanah Lot. Sorge su una minuscola isola raggiungibile solo con la bassa marea. Il fascino della costruzione è dato dall’armonia tra la quiete del tempio e la forza dell’Oceano che lo circonda.
In realtà la lista di templi dove ritagliarsi un momento di pace è molto lunga: il Pura Besakih, il tempio madre ai piedi del vulcano Gunung Agung; il Pura Luhur Batukaru, custodito dalla foresta; il Pura Goa Lawah, conosciuto come il tempio della grotta dei pipistrelli; e così via.
Dicono che ognuno debba trovare il proprio tempio, a Bali, e lì esprimere un desiderio e recitare le preghiere più segrete. Dicono anche che Bali abbia un’anima capace di richiamare da ogni angolo del mondo altre anime e che solo raggiungendo l’isola i cosiddetti cercatori di verità possano risuonare in armonia con gli dei e l’energia del tutto.
In effetti, dicono molte cose, su Bali, l’isola degli dei, dei profumi, dell’armonia.
Dove mangiare
UBUD
- Veggie Table: Jalan Hanoman 53, Ubud, Bali, Indonesia. Un eccezionale tempeh, servito con verdure di ogni tipo, riso e tofu.
- Sopa: Jalan Sugriwa, Ubud (Jalan Hangman), Bali, Indonesia. Una torta cocco, mango e cioccolato che a volte mi capita ancora di sognare.
- 9 Warung: Jalan Lodtunduh, Ubud, Bali, Indonesia. Il ristorante migliore di tutta Bali. Non c’è personale, vi servite da soli dal buffet (delizioso) e quando avete finito lasciate i soldi in un barattolo e vi lavate il piatto.
KUTA
- Beachwalk shopping center di Kuta: Jalan Pantai Kuta, Bali, Indonesia. Un bellissimo centro commerciale per lo più all’aperto. Nella food court potete trovare opzioni vegane e nel supermercato frutta e tante altre cose.
- I love vegetarian De Ra Sa: Petrokoan Graha Tuban Kav 6, Jalan Bypass, Gusti Ngurah Rai 88 C; Kuta, Bali, Indonesia. Cucina indonesiana e cinese, tutto vegan.
Dove dormire
Per il tour dei vulcani ci siamo affidati a Bromo Tour, ma consiglio di sentire almeno un paio di compagnie e confrontare prezzi e offerte, che possono cambiare a seconda della vostra città di partenza e del numero dei partecipanti.
A Ubud abbiamo dormito nell’Agung Raka Resort, hotel splendido e rilassante.
A Kuta eravamo al Grad Barong Resort. Ci sono molti hotel sia a Ubud che a Kuta, consiglio di guardare le offerte su Booking.
Incuriositevi leggendo altri racconti nella nostra sezione Running Away.