di Alessandro Pilo
Matteo Cupi, pur giovanissimo, ha già una grandissima esperienza come attivista per i diritti animali. Oltre ad aver fatto parte di vari movimenti e collettivi italiani, dal 2010 ha iniziato a lavorare con Igualdad Animal/Animal Equality in Spagna, ha poi contribuito allo sviluppo di Animal Equality in Inghilterra ed è attualmente presidente e co-fondatore dell’organizzazione in Italia. È quindi la persona più indicata per raccontarci come si è sviluppata e cosa la rende unica nel panorama internazionale dell’attivismo per i diritti animali.
Come ti sei avvicinato ai diritti animali e come sei diventato parte di Animal Equality?
Mi sono avvicinato ai diritti animali per puro caso. Da teenager ero mosso da spirito critico e da un senso di giustizia. Volevo diventare vegetariano per esempio, sentivo che era una cosa giusta, ma non avevo gli elementi per passare dalla teoria alla pratica. Poi un giorno fui invitato a un evento vegan. Dopo cena vennero proiettati con un televisore dei video di allevamenti intensivi e delle riprese dentro dei macelli. Ricordo che tutti chiacchieravano senza prestare attenzione, mentre io rimasi incollato per ore a quello schermo. Come un flash, da un giorno all’altro diventai vegan, avevo 16 anni. Intanto frequentavo l’ambiente dei concerti, e un giorno vidi il poster di un presidio auto-organizzato contro la vivisezione. Con un’amica prendemmo un treno per Milano, e lì iniziai a conoscere molte persone con idee simili alle mie. Creammo un gruppo di affinità e facemmo molto attivismo partecipando a proteste lampo e aggregandoci a campagne nazionali già esistenti. Poi con il tempo creammo progetti più consistenti, che mettermi a fare l’elenco sarebbe veramente troppo lungo. Come volontario e attivista ho sempre cercato di professionalizzare il mio lavoro. Mi piaceva quello realizzato negli Usa, in Inghilterra e Nord Europa, e la realtà che più sentivo vicina ai miei interessi era Animal Equality. Soprattutto per ciò che riguarda le investigazioni dentro i macelli e gli allevamenti, il loro lavoro era pionieristico. Da qui a chiedere di diventare parte attiva del progetto il passaggio è stato breve. La mia permanenza in Spagna inizialmente doveva essere di tre settimane, che sono diventati poi quattro mesi. Tanto lavoro, a volte anche più di 10 ore al giorno, tanto entusiasmo, si viveva tutti nello stesso appartamento. Ho poi passato gli ultimi quattro anni a Londra per lo sviluppo in Inghilterra di Animal Equality, ma allo stesso tempo si mettevano le basi per la creazione di Animal Equality in Italia.
Animal Equality nasce in Spagna, un paese con tradizioni alimentari e culturali simili a quelle italiane. Là come sono riusciti a fare breccia e comunicare il proprio messaggio al grande pubblico in modo efficace?
In Spagna esistevano altre organizzazioni animaliste, ma non così efficaci. Animal Equality si è ispirata al lavoro realizzato dai gruppi animalisti in Inghilterra, negli Usa e nel Nord Europa. Ciò che caratterizza Animal Equality è come vengono fatte le cose: per esempio i video animalisti fino a quel momento erano girati con tanta passione ma in modo amatoriale, AE inizia invece ad affinare le sue tecniche di registrazione video, collaborando anche con fotografi professionisti, con il risultato di produrre materiale di alta qualità. Ma al di là del contesto culturale, che comunque è importante, è sempre l’attitudine e la motivazione di chi porta avanti un certo lavoro a fare la differenza.
Animal Equality a un certo punto ha iniziato ad aprire sedi in altri paesi e ora è attiva in Germania, Spagna, India, Italia, Messico, Regno Unito, Stati Uniti e Venezuela. Com’è nata l’idea?
Le prime sedi all’estero sono state aperte in Sud America, per ovvie ragioni di affinità linguistica. Poi nel 2009 un attivista volle iniziare delle attività in Inghilterra. Nel 2010 mi sono trasferito anche io a Londra e abbiamo provato a rendere il nostro lavoro più professionale. Abbiamo messo un infiltrato dentro un allevamento di suini per più di due mesi e il materiale ricavato ha permesso di far partire un’indagine che si è conclusa con la condanna a 18 settimane di carcere per uno degli allevatori e il divieto a vita di esercitare l’attività, con la conseguente chiusura dell’allevamento. Si è trattato del lancio mediatico di Animal Equality in Inghilterra. Da quel momento è diventato ufficiale che l’organizzazione stava portando avanti le proprie investigazioni non solo in Spagna ma anche a livello internazionale. Poi una ragazza Indiana ha aperto AE in India, mentre due cofondatori l’hanno fatta nascere negli Stati Uniti. Mentre io da un anno sono rientrato in Italia per apportare il mio contributo concreto all’organizzazione.
Secondo te perché ha funzionato e perché per esempio nessun’altra organizzazione animalista europea è mai riuscita ad avere un tale seguito all’estero?
AE è riuscita a realizzare in modo professionale e istituzionale un certo tipo di proteste e azioni di disobbedienza civile che fino a quel momento veniva realizzato esclusivamente da altri movimenti. Questo desiderio di professionalizzarsi lo si vede anche nelle investigazioni, più simili a quelli del giornalismo investigativo.
Inoltre AE è molto efficace dal punto di vista mediatico, pensiamo a quando vennero portati in strada i corpi degli animali vittime dello sfruttamento animale. Si trattò al tempo di una delle più grandi manifestazioni animaliste mai realizzata, con 500 attivisti provenienti da varie parti d’Europa e Stati Uniti. Era facile per i media manipolare o distorcere il messaggio della nostra azione, ma fummo strategicamente bravi a farlo passare correttamente e a ottenere una enorme copertura mediatica internazionale.
Nel sito di Animal equality Italia si legge che “Animal Equality lavora per prevenire la crudeltà nei confronti di tutti gli animali utilizzando investigazioni, salvataggi, progetti educativi e azioni legali”. Su quale fronte siete più attivi?
Concentriamo la maggior parte dei nostri sforzi sui cosiddetti animali da reddito, quelle specie allevate per produrre carne e derivati animali, che rappresentano più del 90% degli animali che soffrono e muoiono a livello globale. AE opera inoltre a seconda del contesto culturale, per esempio in Spagna è anche attiva contro la corrida e in Messico contro gli zoo. Siamo convinti che le investigazioni siano degli strumenti molto efficaci, grazie a esse preveniamo ulteriori crudeltà sugli animali. Riceviamo molti messaggi da persone che hanno scelto di seguire una dieta vegetariana o vegana dopo aver visto i nostri video.
Le vostre investigazioni sugli animali da pelliccia in Cina sono state diffuse in passato da Striscia la notizia, inoltre avete collaborato fornendo informazioni per l’inchiesta-reportage sugli allevamenti intensivi realizzata dalla trasmissione Announo di La7. La puntata è stata vista da 1.020.936 di spettatori, con il 4,83% di share. Questi video si sarebbero potuti trasmettere sui canali nazionali qualche anno fa? O è sintomo che il movimento animalista sta raggiungendo una massa critica in grado di influenzare i contenuti dei programmi televisivi e della carta stampata?
Da come ho vissuto le cose negli ultimi 15 anni, direi che non sarebbe stato possibile. Non ho mai visto un interesse simile tra i media, prova ne è che spesso sono loro a contattarci per chiederci del materiale. Certo anche rendere le nostre investigazioni più professionali e curate ha facilitato le cose. Poi internet e i social network hanno contribuito ad ampliare sempre più la sensibilità su questi temi e la questione animale attira l’attenzione del pubblico, e quindi anche dei media, molto più di prima.
D’altronde i dati Eurispes parlano chiaro: ben l’81,6% degli italiani si oppone alla vivisezione, l’85,5% si dichiara contrario all’uso di animali per la produzione di pellicce, il 6,5% degli italiani è vegetariano, mentre lo 0,6%, 400.000 persone, è vegano.
Le scuole italiane sono pronte ad accogliere dibattiti e incontri sul tema dell’animalismo o è ancora un tema troppo scottante?
Abbiamo realizzato anche attività nelle scuole, concentrandoci soprattutto sull’educazione all’empatia. Per esempio riflettiamo insieme ai bambini se un animale vive meglio dentro una gabbia o all’aria aperta e cerchiamo di mostrargli gli animali come esseri capaci di provare sentimenti e soffrire, proprio come noi umani. Altri temi più inerenti allo sfruttamento animale sono ancora un po’ un tabù dentro la scuola.
Come vedi il boom del vegetarianesimo e veganismo in Italia? Sta andando di pari passo con una maggiore coscienza animalista o le due cose non sono necessariamente collegate?
Personalmente questo boom lo vedo molto positivo. In passato non era facile trovare alternative vegan, ora in qualsiasi città si può mangiare cibo cruelty-free senza rompersi la testa. Quando delle persone iniziano a mangiare vegetariano o vegano senza una motivazione etica, abbiamo comunque aperto una porta, ciò significa che gli abbiamo mostrato che una dieta veg è ugualmente valida e gustosa. Certo questo boom non va di pari passo con l’espandersi del movimento animalista. Tuttavia credo che in un contesto culturale dove le persone sono più aperte a mangiare alternative crelty-free, è più facile creare un clima d’accettazione riguardo le tematiche dei diritti animali e il loro benessere.
Hai fatto attivismo animalista sia all’estero che in Italia. Come vedi quello italiano?
Quando vivi sempre nello stesso posto, tendi a trovare solo i lati negativi e a vedere il bicchiere sempre mezzo vuoto. La verità è che in Italia abbiamo un grande potenziale. Purtroppo certe idee, prima di essere accettate, devono prima arrivare dall’estero.
Per ciò che riguarda l’attenzione verso le tematiche animaliste, l’italiano medio è una persona generalmente aperta. Certo ciò non viene dal nulla, questo cambiamento culturale è avvenuto anche grazie all’ottimo lavoro di sensibilizzazione fatto durante questi anni dai tanti movimenti e organizzazioni sparsi per l’Italia.
C’è qualcos’altro che vorresti aggiungere prima di concludere l’intervista?
Volevo aggiungere che grazie al lavoro svolto negli ultimi anni, frutto di molti sacrifici, Animal Equality è stata scelta come una delle tre associazioni per i diritti animali più efficienti al mondo.Dopo aver valutato il lavoro della nostra organizzazione, Animal Charity Evaluators, un ente no-profit che valuta tante organizzazioni per diritti umani e animali negli Stati Uniti e in Europa, ha concluso che Animal Equality salva 136 animali per ogni 10 euro donati. Questo risultato dimostra l’efficacia della nostra struttura interna e una chiara visione della nostra missione come no-profit.Colgo l’occasione per ringraziare di cuore la generosità dei nostri sostenitori e donatori, l’impegno senza prezzo svolto dai nostri volontari ed infine il duro lavoro svolto senza sosta dal nostro team investigativo. Senza di loro tutto questo non sarebbe possibile.