di Fabio Zaccaria
È la fame, molto più della guerra, il vero motore dell’emigrazione; e il modo nel quale la comunità internazionale e i singoli Stati si dimostreranno capaci di rispondere alle sfide poste dall’alimentazione determinerà in modo radicale il futuro del mondo. A sottolinearlo è il dossier Cibo & Migrazioni, nato dalla collaborazione fra MacroGeo, società di ricerca geopolitica, e il Barilla Center for Food & Nutrition.
Per introdurre il discorso, servono alcuni dati. Per quanto riguarda il nostro territorio nazionale, solo negli ultimi trent’anni, gli stranieri sono più che raddoppiati: oggi costituiscono una percentuale di poco inferiore al 10% e hanno definitivamente trasformato l’Italia da un paese di emigrazione a uno di immigrazione, suscitando profonde trasformazioni di carattere sociale, culturale ed economico. Ma il caso italiano è tutt’altro che isolato: “Nel corso degli ultimi quindici anni – spiega all’interno dell’inchiesta Lucio Caracciolo, direttore di Limes e fra gli autori del dossier – il numero dei migranti internazionali è aumentato in tutto il mondo, da 173 milioni nel 2000 a 244 milioni nel 2015 (dati Nazioni Unite). Aggiungendo a questi i migranti interni, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ritiene che i migranti siano più di un miliardo di persone”. E il fenomeno, nei prossimi anni, è destinato ad assumere proporzioni ancora maggiori: “La popolazione africana – prosegue Caracciolo – già consta di 1,2 miliardi di persone e, se i tassi di crescita demografica non subiranno significative variazioni, per la metà del secolo tale cifra si sarà raddoppiata; quadruplicata nel 2100”. Mentre gli europei, secondo le più probabili proiezioni, caleranno dagli attuali 700 milioni a 650 milioni.
“Nel 1950 – precisa il direttore di Limes – l’Europa rappresentava il 22% della popolazione mondiale. Ma tale percentuale scenderà al 7% nel 2050, mentre l’Africa passerà dal 9% degli anni Cinquanta a più del 25%”. La sfida, quindi, per gli autori del dossier, è quella di trasformare in un’opportunità di crescita e sviluppo un fenomeno che, se non controllato, potrebbe destabilizzare radicalmente la nostra stessa idea di società.
Il tema del cibo, in questo contesto, assume proporzioni fondamentali. Come emerge dall’ultimo rapporto del World Food Programme, infatti, se una guerra in corso incide sui flussi migratori per circa lo 0,4% per ogni anno di conflitto, la sicurezza alimentare (carestie, siccità, cambiamenti climatici) ha un’incidenza che sfiora invece il 4%.
“Gli andamenti attuali – scrive all’interno del dossier Massimo Livi Bacci, professore di Demografia all’Università di Firenze – indicano che l’Africa subsahariana è intrappolata in un circolo vizioso malthusiano. La povertà alimenta la fame, la malnutrizione e l’alta mortalità infantile, che, insieme all’elevata fecondità, comportano un alto tasso di crescita che, a sua volta, genera ancora più povertà. Per interrompere questo circolo vizioso devono essere affrontate insieme le questioni alimentari e demografiche dell’Africa subsahariana”.
Il che significa che per garantire un futuro migliore all’Africa, e di riflesso all’Europa, la risposta è una sola: partire dall’agricoltura.
Il ruolo cruciale svolto da sistemi agroalimentari efficienti e da catene del valore alimentare sostenibili nel promuovere la crescita economica dei paesi in via di sviluppo è fuori di dubbio. Il loro potenziale nella stabilizzazione delle migrazioni internazionali e interne nel mondo è fondamentale, soprattutto tenuto conto del gran numero di persone occupate nell’agricoltura e nei settori affini in paesi come l’Africa”
sottolineano l’economista Angelo Riccaboni e il ricercatore Sebastiano Cupertino nel proprio intervento per Cibo & Migrazioni.