con la speranza di scorgere un po’ di verità nel solco ombroso di una montagna, tra le rughe di un pastore nomade, nella luce di una candela di burro o, magari, tra i nodi arruffati di un cane ramingo“
di Francesca Bresciani
Foto di Tommaso Cazzaniga
Non è semplice descrivere il Tibet, perché il Tibet è il paese dell’inafferrabile, dell’impalpabile, dei segreti custoditi, dei misteri mai svelati, degli spazi sconfinati colmati da silenzi profondi, dove pochi si avventurano per spiare tra le fessure dell’anima del mondo. Arrivate a Lhasa a bordo di un minuscolo aereo Air China che traballa a ogni starnuto del cielo. Il poverino dietro di voi vomita a ogni sussulto del coraggioso velivolo, mentre voi stritolate la maniglia del sedile logoro. Cercate conforto immergendo lo sguardo nel bianco delle montagne che minacciosamente sembrano bucherellare l’aereo, e trattenete il respiro fino a quando, finalmente, vedete Lhasa sotto di voi. La monotonia della distesa color marrone chiaro è interrotta solo da un fiume di un turchese acceso. Le montagne sembrano scogli in un vasto, desolato mare di polvere.
Atterrati, sbrigate le faccende doganali con particolare attenzione e attendete la guida che avete scelto dopo lunghe ricerche online. Scordatevi di visitare il Tibet come viaggiatori indipendenti. Per avere accesso alla terra dei grandi misteri il governo cinese deve assicurarsi che siate scortati e controllati, quindi non sorprendetevi se anche nel vostro pulmino ci sono telecamere. Per fortuna avete selezionato un ottimo tour operator, che è stato in grado di fornirvi il permesso di ingresso per il Tibet (da aggiungere al visto cinese), più tutte le varie autorizzazioni necessarie per visitare aree particolari del paese. Saltate a bordo del minivan con i vostri (pochi) nuovi compagni di viaggio, e raggiungete l’albergo a Lhasa, dove riposate e vi riprendete dal mal di altitudine. Siete a 3658 metri: la vostra testa duole come se un picchio avesse fatto il nido tra i vostri capelli, le cose attorno a voi si muovono come in Fantasia (senza la magia), e due rampe di scale vi provano nel fisico come venti chilometri di corsa. È normale, dovete solo riposare e dare al vostro corpo il tempo di adattarsi.
Lhasa
Potala Palace
Il giorno dopo vi attendono le meraviglie di Lhasa: cuore del Tibet, Città Proibita fino agli anni Ottanta, sognata e bramata da missionari, cercatori di tesori, studiosi dell’occulto sulla via per l’illuminazione. La prima destinazione non delude le vostre aspettative: il Potala Palace si erge sulla Marpo Ri, la “collina rossa”, come un sovrano silente. Il rosso e il bianco della struttura spiccano sullo sfondo delle montagne opache, incutendo rispetto e soggezione. Arrampicatevi per il versante meridionale della collina, mettendo a dura prova i polmoni. Il palazzo fu dimora del Dalai Lama fino al 1959, quando il 14° Dalai Lama fu costretto a fuggire in India a seguito dell’invasione cinese e del fallimento della resistenza tibetana. Oggi è un museo di tredici piani e più di mille stanze dove, tra il profumo dell’incenso e i drappi dorati, ancora aleggiano storie di uomini santi e santi umani. Le sale sono umide, fredde, appesantite da doni votivi e immagini sacre, incrostate da secoli di storie e preghiere che attendono di essere liberate. Percepite le aspirazioni di generazioni, le speranze di un popolo, la tensione al superiore ben ancorata al terreno da un’umanità densa. Qui non si contano i minuti e le ore, ma i secoli e le reincarnazioni.
Monasteri e templi
La seconda tappa del vostro programma esaspera ancora di più il misticismo straordinario e pur così umano del Tibet: il Jokhang Temple è il tempio più sacro del Tibet, una sorta di antenna di spiritualità capace di trasmettere vibrazioni ultraterrene anche ai più scettici. Costruito nel VII secolo fondendo gli stili architettonici cinese, indiano e nepalese, abbaglia con l’oro dei suoi tetti magistralmente decorati con campane, animali e uccelli.
I pellegrini si riversano nel tempio percorrendo il Barkhor, il sentiero sacro che lo circonda, prostrandosi a terra e pregando senza sosta. Vi mischiate tra la folla di fedeli avvolta da spirali d’incenso che salgono verso il cielo, offuscandovi la vista. Le claustrofobiche cappelle impregnate dell’odore delle candele di burro e traboccanti di statue e ruote delle preghiere vi inghiottiscono risputandovi fuori, sul tetto del tempio, da cui potete abbracciare con la vista una realtà mai immaginata.
La giornata si conclude con una cena di benvenuto. Avete già richiesto un menu vegano e vi gustate vassoi interi di verdure e riso deliziosi. In fondo, in Tibet essere veg è normale, e la maggior parte dei menu, ovunque vi trovate, ha un’ampia scelta di piatti vegetali.
Il giorno successivo visitate il Drepung Monastery, il monastero più grande del Tibet, a otto chilometri a ovest di Lhasa. Gli edifici bianchissimi affastellati sulle montagne scure hanno piccole finestrelle rettangolari sormontate da tettoie magnificamente dipinte, con tendine svolazzanti che sotto il sole impietoso creano ombre sussultanti. Gli spazi si riempiono di silenzi rarefatti e sono punteggiati da cani randagi, gomitoli di nodi e baldanza. Sulle montagne i massi spuntano come funghi di roccia, mentre nel cortile del monastero le fasce bianche di benvenuto, appese su un grande albero solitario, fluttuano come fantasmi.
Le sale si susseguono straripanti di doni votivi, statue di Buddha, decorazioni che ricordano la carta regalo dei pacchi natalizi. Le candele di burro di yak brillano come oro fuso nella semi tenebra delle cappelle. Cumuli di fiori di plastica, banconote e nastrini colorati traboccano in ogni dove. La Cappella della Protezione vi ricorda una stanza degli orrori: su pareti nere e umide, come quelle di un pozzo dimenticato, sono raffigurate divinità protettrici mostruose, con denti aguzzi e lingue rosse. I monaci si aggirano in questo labirinto intasato di cose, di preghiere, di credenze sotto cui sono sepolte verità antiche come le montagne-guardiani.
Il Sera Monastery, a circa cinque chilometri da Lhasa, è più piccolo del gigantesco Drepung Monastery, ma vi offre uno spettacolo unico: il dibattito dei monaci. Nel cortile del dibattito, decine di monaci si ritrovano per discutere su quale sia il miglior modo per imparare e praticare il buddismo. Gridano, battono mani e piedi, fanno domande. Il rituale è preciso e regolato da ritmi, gesti, pause. Un barboncino siede tra gli spettatori ed esaltato dalla dialettica intellettuale fa suonare i campanellini del suo collare.
Toccare il cielo con un dito
L’indomani vi attende una giornata intensa ed emozionante. L’autista guida fino al Kambala Pass, a 4795 metri, da cui sfiorate il cielo con un dito e vedete dall’alto il meraviglioso lago sacro di Yamdrok Tso. Lungo la strada, tibetani fieri mostrano yak infiocchettati e pastori tibetani, cani in grado di sconfiggere i lupi e mimetizzarsi in un branco di possenti yak. In cambio di una monetina potete scattare una foto, ma le grattatine d’orecchie sono gratuite e ben accette. Scendete sulle sponde del lago sacro, dove la guida racconta che sia possibile scorgere il futuro. Le acque di un azzurro abbagliante riposano quiete tra le montagne scure, come un turchese nascosto nella roccia brulla. Proseguite spalancando gli occhi su montagne innevate, valli sinuose e pascoli desolati, fino al passo di Karo La, a ben 5010 metri, da cui ammirate il ghiacciaio del sacro monte Nyenchen Kangsar. La vista è mozzafiato, in tutti i sensi. Dopotutto, siete sul tetto del mondo e l’Himalaya non è cosa da tutti i giorni. Una breve sosta a Gyantse vi permette di visitare il monastero Pelkor Chode, con la Torre dei diecimila Buddha e la celebre stupa Kumbum: nove piani, 35 metri di altezza, 108 cappelle e infinite rappresentazioni del Buddha per un effetto architettonico a dir poco magnifico. Passate la notte in un hotel a Shigatse, dove i sogni non riescono a uguagliare la straordinarietà di quello che avete visto prima di coricarvi.
Il giorno successivo, ripartite verso Rongbuk, fermandovi al passo di Gyatso La (5200 m) e Gawu La (5250 m) per strabiliarvi davanti ai giganti dell’Himalaya: il Monte Makalu (8463 m), il Monte Lotse (8516 m), il Monte Everest (8844 m), il Monte Cho Oyu (8201 m) e il Monte Shishapama (8020 m). Sul minivan quasi nessuno apre bocca, un silenzio di ammirazione accompagna sensazioni nuove, che arrivano da non sapete nemmeno voi dove. Fuori si gela, mentre oltre il finestrino scorre lo show della natura: passate tra montagne enormi, onde morbide di pietra interrotte da fratture profonde. Le sfumature color verde, senape e marrone hanno una profondità amplificata dall’aura mistica del luogo. Piccole caprette si sparpagliano nel paesaggio, insieme a pastori che arano e seminano la terra sfidando l’impossibile. Eppure sorridono con grandi bocche sdentate ed è come quando filtra il sole tra le nuvole, qui sulle tremende vette himalayane. Qualche gatto sonnecchia sulla strada, uniche creature in grado di far sembrare facile una vita insostenibile. Casette bianche dimenticate sui versanti accentuano la desolazione di questa terra.
Everest Base Camp
Arrivate stanchi al posto più incredibile che mai visiterete: l’Everest Base Camp (5150 m). Nel monastero di Rongbuk monaci e monache bisbigliano mantra, mentre voi vi rintanate nella tenda della guesthouse. Fuori il vento soffia incurante del fatto che voi, per andare in bagno, dovete uscire dalla tenda e sfidare la neve, il ghiaccio e il gelo per raggiungere una latrina tibetana, cioè una delle peggiori esperienze che dovete sopportare come prezzo per essere ai piedi dell’Everest. Sopravvissuti anche a questo, potete rannicchiarvi sotto dieci coperte e aspettare di gustare del tè bollente e dei noodles preparati proprio al centro della grande tenda dove dormirete tutti in cerchio. Tanto non dormirete nemmeno, un po’ per l’emozione, un po’ per il mal d’altitudine.
Al risveglio siete storditi e profumate di yak, ma avete la forza di uscire dalla tenda e raggiungere l’Everest Base Camp. Ecco, il sole sorge sul mondo. Ecco, il mondo non è mai stato così bello.
Tra le sventolanti bandierine multicolore delle preghiere, ve ne state curiosi a guardare le tende gialle di chi si appresta a scalare l’Everest. Sono in pochi, intrepidi, danarosi e aiutati da guide esperte e affidabilissimi yak.
Tempo di tornare
È ora di tornare a Shigatse e scendendo di quota la vostra emicrania vi dà tregua. A Shigatse visitate il Tashilunpo Monastery, tra le ragnatele di bandierine, i pellegrini devoti e la statua di Buddha più grande di tutta la Cina.
Quando tornate a Lhasa, il giorno successivo, seguendo il corso del fiume Brahmaputra, cercate di mettere insieme i frammenti delle emozioni e delle sensazioni vissute negli ultimi giorni. Ma quando v’imbarcate sul volo di rientro a casa, vi ritrovate con domande che nemmeno sapevate di dover porre, in cerca di risposte che non sapete se mai troverete.
Il Tibet è la terra dei grandi misteri, dove recarsi con la speranza di scorgere un po’ di verità: nel solco ombroso di una montagna, tra le rughe di un pastore nomade, nella luce di una candela di burro o, magari, tra i nodi arruffati di un cane ramingo.
Come organizzare un viaggio in Tibet
Non è possibile viaggiare in Tibet senza affidarsi a un tour organizzato. Noi abbiamo scelto Budget Tibet Tour, che, come dice il nome, non costa una fortuna ed è affidabilissimo. Provvederanno loro a chiedervi documenti e dettagli e fornirvi tutti i permessi necessari. La situazione in Tibet cambia frequentemente e nessuno meglio dei tibetani stessi può consigliarvi e tenervi aggiornati.
Cibo e sistemazione sono organizzati dal tour, dovrete solo precisare di essere vegani e scegliere la categoria di hotel in base al vostro budget. Viaggerete in un gruppo di pochi altri viaggiatori e avrete modo di imparare moltissimo dalla vostra guida.
Incuriositevi leggendo altri racconti nella nostra sezione Running Away.