Tutto sulle proteine! A nudo tutti i dubbi, criticità e tematiche più delicate nelle quali possiamo imbatterci noi vegani parlando di proteine e dei loro costituenti gli aminoacidi.
Per fare questo abbiamo dovuto spogliarci di ogni veste etica, di ogni premura ambientalista e affidarci alla scienza, scegliendo di farlo in totale onestà attraverso il confronto con una delle professioniste più esperte dell’argomento, che non ha abbracciato la nostra scelta ma che non ha preconcetti: Nicoletta Pellegrini, professoressa associata all’Università di Udine, Dipartimento di Scienze AgroAlimentari, Ambientali e Animali, e ricercatrice.
È giusto che i vegani si preoccupino di assumere una quantità sufficiente di proteine?
Sì, ovviamente, come tutti; la quantità deve essere adeguata. E con questo non voglio dire che deve essere la loro principale preoccupazione, ma significa avere una dieta equilibrata nell’ambito della restrizione che può avere una dieta vegana. I vegani, le cui fonti proteiche sono meno digeribili delle fonti tradizionali, devono introdurre tutti i nutrienti così come deve fare il resto della popolazione.
Quindi quando ci chiedono da dove prendiamo le proteine un po’ di ragione ce l’hanno?
Diciamo che le fonti vegetali, legumi a parte, non sono considerate un esempio di fonte di proteine: escludendo prodotti carnei, pesce, uova e latte e derivati è complesso soddisfare il nostro fabbisogno di proteine.
Ma noi facciamo abitualmente uso oltre che di legumi, anche di frutta secca e semi, se usiamo tutto questo possiamo stare tranquilli?
Attenzione: di frutta secca non ne mangi quanto di altri prodotti come possono essere legumi, la carne e il pesce, cioè una fonte è legata sia al quantitativo di proteine presenti ma anche a quanto consumi di quel dato alimento. E di frutta secca non si può fare normalmente un consumo elevatissimo: le raccomandazioni delle linee guida dicono trenta grammi perchè è molto calorica, io per un vegano ne consiglierei un po’ di più ma comunque il quantitativo proteico introdotto non sarebbe elevatissimo.
La verdura e la frutta contengono pochissime proteine e possono contribuire solo in piccole quantità, non sono certo la fonte proteica di eccellenza.
Che cosa significa proteine “nobili”?
Sono le proteine che contengono una certa quantità di aminoacidi essenziali. Nel caso delle proteine il fabbisogno è determinato da due aspetti, io ne ho bisogno di un certo quantitativo totale (0,9 grammi per chilo di peso corporeo per l’adulto come raccomandazione), ma poi ho bisogno anche che queste proteine abbiano una certa qualità ovvero che contengano tutti gli aminoacidi essenziali (il cui quantitativo necessario dipende dall’età, e si riduce man mano che l’organismo cresce e invecchia). Se manca o scarseggia anche solo una tipologia di aminoacidi essenziali le proteine non possono essere sintetizzate correttamente e quindi il nostro organismo utilizza proteine corporee. La cosa migliore è introdurre le giuste e corrette quantità dei singoli aminoacidi essenziali, quelli che l’organismo non sa sintetizzarsi da solo.
Nei derivati animali il quantitativo di aminoacidi essenziali è migliore e si avvicina di più a quelle che sono le necessità dell’organismo, mentre nei prodotti vegetali il quantitativo di aminoacidi essenziali è minore: i cereali mancano di lisina e i legumi mancano di solforati. La combinazione cereali legumi è una modalità che ci insegna la tradizione e ci ha sempre permesso di introdurre tutti gli aminoacidi perchè riesce a complementare quelli mancanti nei legumi con quelli nei cereali e viceversa. Il discorso delle proteine quindi non è un vero problema nel vegano, ma qui entra in gioco la digeribilità.
La digeribilità?
Le proteine vegetali in linea generale sono meno digeribili di quelle animali. Per “digerire” intendo che devo far sì che gli enzimi possano idrolizzare correttamente le proteine e liberare gli aminoacidi, perché noi di solito assorbiamo aminoacidi dipeptidi e tripeptidi, pezzettini di proteine piccoli; poi questi aminoacidi raggiungono il circolo e vengono utilizzati, metabolizzati. Se io però non riesco a digerire a livello intestinale tutta la proteina questo ha influenza sull’assorbimento reale: io magari ho introdotto gli aminoacidi, ma non sono riuscita ad assorbirli, quindi li perdo. Dicevo che le proteine vegetali sono considerate meno digeribili di quelle animali, però il discorso è molto più complicato perché in realtà noi non mangiamo proteine tali e quali, ma le trasformiamo con la cottura che ha un’influenza sulla reale digeribilità: se tu cuoci la carne a lungo o ad alte temperature, la temperatura danneggia le proteine e le rende molto meno assimilabili di quanto possono essere in altri tipi di cotture. Quindi non è facile generalizzare. Le proteine vegetali hanno conformazioni complicate e sono spesso incapsulate in strutture cellulari della pianta più resistenti alla digestione: se prendi un fagiolo bollito la digestione proteica può raggiungere circa il 70%, ma lo stesso legume ridotto in farina e utilizzato in una preparazione alimentare ha una maggiore digeribilità perché le cellule, in cui sono confinate le proteine, vengono rotte, agevolando l’attività degli enzimi.
Quindi la pasta fatta di farine di legumi che sta spopolando ha anche questo di positivo?
Sì, potrebbe, bisognerebbe vedere la dimensione delle cellule. Se guardiamo con orrore di solito le trasformazioni tecnologiche, in taluni casi, come questo e non solo in questo, hanno invece un vantaggio. Lo stesso discorso della trasformazione in farina non vale per i legumi frullati perchè i mixer non riescono a rompere tutte le cellule, molto resistenti, soprattutto quelle dei ceci e dei fagioli, lo sono molto di meno quelle delle lenticchie più piccole. I dati della letteratura scientifica dicono che la digeribilità delle proteine isolate è di solito superiore a 90%, mentre di quelle non isolate può essere mediamente 70-80%.
Le proteine isolate sono quelle che vediamo indicate in molte etichette di nuovi burger… allora sono ingredienti positivi?
Sì, è una cosa positiva. Gli isolati proteici sono molto utilizzati da decenni, non c’è nulla di nuovo; vengono usati ad esempio nel pane imbustato perché hanno potere umettante e quindi rallentano il raffermamento del prodotto da forno. Oggi sono in tantissimi prodotti.
Limitandosi ad osservare il solo contenuto proteico, sia relativamente alla quantità che alla qualità, di uno stesso legume che differenza c’è tra fresco, surgelato, secco e in scatola? Quale eventualmente è meglio preferire?
Quando tu reidrati il legume è come se fosse fresco ed equivale a quello in scatola e surgelato: non c’è una grande differenza per quantitativo proteico, ma la differenza può esserci sulla possibilità o meno di aver rotto le cellule che contengono le proteine e più il prodotto è cotto ad alta temperatura, come quello in scatola, più è probabile che si siano rotte rispetto alla cottura casalinga o al prodotto surgelato, che equivale al fresco. Il fatto di aver reso più digeribili le proteine da un lato è vantaggioso; diverso il discorso se mi interessa la digeribilità dell’amido — perchè i legumi contengono anche tanti amidi — e quindi se consumo i legumi cotti in casa, le cellule si rompono meno e l’amido è meno digeribile che vuol dire avere una minore escursione glicemica e un migliore controllo della glicemia.
Quindi alla fine la cosa migliore è sbizzarrirsi ad acquistare le varie tipologie, prestando magari attenzione a quelle in scatola, che magari saranno addizionate anche di altro…
Lo scatolame oggi ha un’etichetta chiara: la cottura è fatta direttamente nella lattina con acqua. C’è il sale, eventualmente un po’ di acido ascorbico e nel caso di bassa qualità qualche preservante del colore, ma oggi lo scatolame è un’ottima possibilità perché la metodologia è sana e semplice.
La tradizione vuole che i legumi secchi vengano ammollati e questo non solo per idratarli ma anche per fare rilasciare degli antinutrienti. Ma com’è fatto l’ammollo ideale? Quanto tempo e quanti cambi d’acqua?
Per i tempi dipende dalla grandezza del legume, per i ceci ad esempio, ci vogliono almeno ventiquattro ore. Io non penso che cambiare tanto l’acqua durante l’ammollo faccia una grande differenza, sicuramente vanno sciacquati molto bene alla fine, prima di metterli a cuocere.
Si stanno moltiplicando sugli scaffali tantissimi prodotti analoghi della carne altamente tecnologici, limitatamente al discorso delle proteine sono validi?
È quello che vogliamo sapere anche noi! Assieme alla dottoressa dottoranda Sara Cutroneo e alla professoressa Tullia Tedeschi del Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco (Università di Parma) sono attualmente impegnata nello Studio delle proprietà nutrizionali e funzionali e di digeribilità di prodotti proteici innovativi sostitutivi della carne, ricerca che ha ottenuto un finanziamento dalla Regione Emilia Romagna per una borsa di dottorato in Scienze degli Alimenti presso l’Università di Parma. Nostro scopo è appunto comprendere la validità di questi tipi di prodotti proprio per quanto riguarda le proteine.
Arriviamo alla questione “soia”, il timore che in grandi quantità faccia male ha un fondamento scientifico? Perchè i vegani rischiano di farne largo uso.
Essendo il legume che più si presta alle trasformazioni effettivamente è molto diffuso, dal tofu alle bevande vegetali, dai burger agli snack. Molti prodotti che vengono dalla tradizione asiatica sono paragonabili alla carne, non solo per macronutrienti ma anche per micronutrienti. Se n’è sempre fatto larghissimo uso per centenni senza problemi. Quelli che usiamo noi occidentali sono più trasformati perché calibrati sul nostro gusto e devono essere ancora studiati per comprenderne tutti gli aspetti nutrizionali. L’unico problema relativo alla soia potrebbe essere legato ai fitoestrogeni, che però sono studiati soprattutto per il possibile ruolo protettivo nei tumori e quello sul controllo del colesterolo.
Ma i fitoestrogeni si conservano sempre nei prodotti derivati dalla soia o in alcuni alimenti si perdono durante il processo di trasformazione?
Essendo composti fenolici possono perdersi nella preparazione: se mangio il fagiolo di soia ne trovo sicuramente di più che nella soia trasformata. Tornando alla questione della quantità la questione di non eccedere è legata alla presenza di fitoestrogeni, che possono avere interferenze degli ormoni sessuali: potrebbero esserci problematiche nei casi di gravidanze e infanzia, per la crescita e sviluppo del bambino. Io ritengo però che, dati i nostri consumi, non ci possano essere complicazioni. Pensate che la popolazione cinese che ha un’alimentazione tradizionale introduce tra venti e cinquanta grammi di soia e derivati al giorno senza avere problemi, non credo che nemmeno un vegano riesca a superare questi valori.
Ma è preferibile il fagiolo intero, il tofu o il tempeh?
Il tempeh è un ottimo prodotto perchè la fermentazione fungina che tiene insieme tutta la struttura produce anche vitamine, inclusa pochissima B12. Ha nutrienti molto simili rispetto alla carne di vitellone, meno vitamine ma minerali in quantità equivalente. Con verdura accanto e integrando la B12, è un valido sostituto. Il fagiono intero è apprezzabile perché contiene micronutrienti e il tofu è una valida alternativa. Vanno benissimo anche i germogli, mentre gli spaghetti di soia sono principalmente costituiti da amidi. Altri modi di consumare la soia è il sufu, tofu lasciato fermentare e invecchiare con batteri, sale e poco altro: ha un gusto molto deciso e pochi riescono a mangiarlo.
Cosa ne pensi delle barrette e dei beveroni proteici?
Guardo con interesse le barrette proteiche: si dice che la popolazione sta andando verso la snackificazione ed è solita consumare sempre di più piccoli pasti durante la giornata. La barretta ha avuto un’evoluzione piuttosto consistente: è partita da un prodotto di bassa qualità, ricco di zuccheri e grassi, e si sta trasformando in un veicolo di nutrienti. Per un vegano è sicuramente un modo interessante di assumere più proteine e raggiungere la quantità corretta. Sui beveroni ho perplessità perché tutto ciò che è liquido ha un effetto diverso sul nostro organismo rispetto a tutto ciò che è solido, nel senso che ha meno potere saziante: il corpo non è capace di realizzare che sta introducendo energia perché in forma liquida, non si sfama e non si riesce a controllare il peso corporeo.
di Elisa Orlandotti
Testo pubblicato a luglio 2021
Tutto sulle proteine! A nudo tutti i dubbi, criticità e tematiche più delicate nelle quali possiamo imbatterci noi vegani parlando di proteine e dei loro costituenti gli aminoacidi.
Per fare questo abbiamo dovuto spogliarci di ogni veste etica, di ogni premura ambientalista e affidarci alla scienza, scegliendo di farlo in totale onestà attraverso il confronto con una delle professioniste più esperte dell’argomento, che non ha abbracciato la nostra scelta ma che non ha preconcetti: Nicoletta Pellegrini, professoressa associata all’Università di Udine, Dipartimento di Scienze AgroAlimentari, Ambientali e Animali, e ricercatrice.
È giusto che i vegani si preoccupino di assumere una quantità sufficiente di proteine?
Sì, ovviamente, come tutti; la quantità deve essere adeguata. E con questo non voglio dire che deve essere la loro principale preoccupazione, ma significa avere una dieta equilibrata nell’ambito della restrizione che può avere una dieta vegana. I vegani, le cui fonti proteiche sono meno digeribili delle fonti tradizionali, devono introdurre tutti i nutrienti così come deve fare il resto della popolazione.
Quindi quando ci chiedono da dove prendiamo le proteine un po’ di ragione ce l’hanno?
Diciamo che le fonti vegetali, legumi a parte, non sono considerate un esempio di fonte di proteine: escludendo prodotti carnei, pesce, uova e latte e derivati è complesso soddisfare il nostro fabbisogno di proteine.
Ma noi facciamo abitualmente uso oltre che di legumi, anche di frutta secca e semi, se usiamo tutto questo possiamo stare tranquilli?
Attenzione: di frutta secca non ne mangi quanto di altri prodotti come possono essere legumi, la carne e il pesce, cioè una fonte è legata sia al quantitativo di proteine presenti ma anche a quanto consumi di quel dato alimento. E di frutta secca non si può fare normalmente un consumo elevatissimo: le raccomandazioni delle linee guida dicono trenta grammi perchè è molto calorica, io per un vegano ne consiglierei un po’ di più ma comunque il quantitativo proteico introdotto non sarebbe elevatissimo.
La verdura e la frutta contengono pochissime proteine e possono contribuire solo in piccole quantità, non sono certo la fonte proteica di eccellenza.
Che cosa significa proteine “nobili”?
Sono le proteine che contengono una certa quantità di aminoacidi essenziali. Nel caso delle proteine il fabbisogno è determinato da due aspetti, io ne ho bisogno di un certo quantitativo totale (0,9 grammi per chilo di peso corporeo per l’adulto come raccomandazione), ma poi ho bisogno anche che queste proteine abbiano una certa qualità ovvero che contengano tutti gli aminoacidi essenziali (il cui quantitativo necessario dipende dall’età, e si riduce man mano che l’organismo cresce e invecchia). Se manca o scarseggia anche solo una tipologia di aminoacidi essenziali le proteine non possono essere sintetizzate correttamente e quindi il nostro organismo utilizza proteine corporee. La cosa migliore è introdurre le giuste e corrette quantità dei singoli aminoacidi essenziali, quelli che l’organismo non sa sintetizzarsi da solo.
Nei derivati animali il quantitativo di aminoacidi essenziali è migliore e si avvicina di più a quelle che sono le necessità dell’organismo, mentre nei prodotti vegetali il quantitativo di aminoacidi essenziali è minore: i cereali mancano di lisina e i legumi mancano di solforati. La combinazione cereali legumi è una modalità che ci insegna la tradizione e ci ha sempre permesso di introdurre tutti gli aminoacidi perchè riesce a complementare quelli mancanti nei legumi con quelli nei cereali e viceversa. Il discorso delle proteine quindi non è un vero problema nel vegano, ma qui entra in gioco la digeribilità.
La digeribilità?
Le proteine vegetali in linea generale sono meno digeribili di quelle animali. Per “digerire” intendo che devo far sì che gli enzimi possano idrolizzare correttamente le proteine e liberare gli aminoacidi, perché noi di solito assorbiamo aminoacidi dipeptidi e tripeptidi, pezzettini di proteine piccoli; poi questi aminoacidi raggiungono il circolo e vengono utilizzati, metabolizzati. Se io però non riesco a digerire a livello intestinale tutta la proteina questo ha influenza sull’assorbimento reale: io magari ho introdotto gli aminoacidi, ma non sono riuscita ad assorbirli, quindi li perdo. Dicevo che le proteine vegetali sono considerate meno digeribili di quelle animali, però il discorso è molto più complicato perché in realtà noi non mangiamo proteine tali e quali, ma le trasformiamo con la cottura che ha un’influenza sulla reale digeribilità: se tu cuoci la carne a lungo o ad alte temperature, la temperatura danneggia le proteine e le rende molto meno assimilabili di quanto possono essere in altri tipi di cotture. Quindi non è facile generalizzare. Le proteine vegetali hanno conformazioni complicate e sono spesso incapsulate in strutture cellulari della pianta più resistenti alla digestione: se prendi un fagiolo bollito la digestione proteica può raggiungere circa il 70%, ma lo stesso legume ridotto in farina e utilizzato in una preparazione alimentare ha una maggiore digeribilità perché le cellule, in cui sono confinate le proteine, vengono rotte, agevolando l’attività degli enzimi.
Quindi la pasta fatta di farine di legumi che sta spopolando ha anche questo di positivo?
Sì, potrebbe, bisognerebbe vedere la dimensione delle cellule. Se guardiamo con orrore di solito le trasformazioni tecnologiche, in taluni casi, come questo e non solo in questo, hanno invece un vantaggio. Lo stesso discorso della trasformazione in farina non vale per i legumi frullati perchè i mixer non riescono a rompere tutte le cellule, molto resistenti, soprattutto quelle dei ceci e dei fagioli, lo sono molto di meno quelle delle lenticchie più piccole. I dati della letteratura scientifica dicono che la digeribilità delle proteine isolate è di solito superiore a 90%, mentre di quelle non isolate può essere mediamente 70-80%.
Le proteine isolate sono quelle che vediamo indicate in molte etichette di nuovi burger… allora sono ingredienti positivi?
Sì, è una cosa positiva. Gli isolati proteici sono molto utilizzati da decenni, non c’è nulla di nuovo; vengono usati ad esempio nel pane imbustato perché hanno potere umettante e quindi rallentano il raffermamento del prodotto da forno. Oggi sono in tantissimi prodotti.
Limitandosi ad osservare il solo contenuto proteico, sia relativamente alla quantità che alla qualità, di uno stesso legume che differenza c’è tra fresco, surgelato, secco e in scatola? Quale eventualmente è meglio preferire?
Quando tu reidrati il legume è come se fosse fresco ed equivale a quello in scatola e surgelato: non c’è una grande differenza per quantitativo proteico, ma la differenza può esserci sulla possibilità o meno di aver rotto le cellule che contengono le proteine e più il prodotto è cotto ad alta temperatura, come quello in scatola, più è probabile che si siano rotte rispetto alla cottura casalinga o al prodotto surgelato, che equivale al fresco. Il fatto di aver reso più digeribili le proteine da un lato è vantaggioso; diverso il discorso se mi interessa la digeribilità dell’amido — perchè i legumi contengono anche tanti amidi — e quindi se consumo i legumi cotti in casa, le cellule si rompono meno e l’amido è meno digeribile che vuol dire avere una minore escursione glicemica e un migliore controllo della glicemia.
Quindi alla fine la cosa migliore è sbizzarrirsi ad acquistare le varie tipologie, prestando magari attenzione a quelle in scatola, che magari saranno addizionate anche di altro…
Lo scatolame oggi ha un’etichetta chiara: la cottura è fatta direttamente nella lattina con acqua. C’è il sale, eventualmente un po’ di acido ascorbico e nel caso di bassa qualità qualche preservante del colore, ma oggi lo scatolame è un’ottima possibilità perché la metodologia è sana e semplice.
La tradizione vuole che i legumi secchi vengano ammollati e questo non solo per idratarli ma anche per fare rilasciare degli antinutrienti. Ma com’è fatto l’ammollo ideale? Quanto tempo e quanti cambi d’acqua?
Per i tempi dipende dalla grandezza del legume, per i ceci ad esempio, ci vogliono almeno ventiquattro ore. Io non penso che cambiare tanto l’acqua durante l’ammollo faccia una grande differenza, sicuramente vanno sciacquati molto bene alla fine, prima di metterli a cuocere.
Si stanno moltiplicando sugli scaffali tantissimi prodotti analoghi della carne altamente tecnologici, limitatamente al discorso delle proteine sono validi?
È quello che vogliamo sapere anche noi! Assieme alla dottoressa dottoranda Sara Cutroneo e alla professoressa Tullia Tedeschi del Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco (Università di Parma) sono attualmente impegnata nello Studio delle proprietà nutrizionali e funzionali e di digeribilità di prodotti proteici innovativi sostitutivi della carne, ricerca che ha ottenuto un finanziamento dalla Regione Emilia Romagna per una borsa di dottorato in Scienze degli Alimenti presso l’Università di Parma. Nostro scopo è appunto comprendere la validità di questi tipi di prodotti proprio per quanto riguarda le proteine.
Arriviamo alla questione “soia”, il timore che in grandi quantità faccia male ha un fondamento scientifico? Perchè i vegani rischiano di farne largo uso.
Essendo il legume che più si presta alle trasformazioni effettivamente è molto diffuso, dal tofu alle bevande vegetali, dai burger agli snack. Molti prodotti che vengono dalla tradizione asiatica sono paragonabili alla carne, non solo per macronutrienti ma anche per micronutrienti. Se n’è sempre fatto larghissimo uso per centenni senza problemi. Quelli che usiamo noi occidentali sono più trasformati perché calibrati sul nostro gusto e devono essere ancora studiati per comprenderne tutti gli aspetti nutrizionali. L’unico problema relativo alla soia potrebbe essere legato ai fitoestrogeni, che però sono studiati soprattutto per il possibile ruolo protettivo nei tumori e quello sul controllo del colesterolo.
Ma i fitoestrogeni si conservano sempre nei prodotti derivati dalla soia o in alcuni alimenti si perdono durante il processo di trasformazione?
Essendo composti fenolici possono perdersi nella preparazione: se mangio il fagiolo di soia ne trovo sicuramente di più che nella soia trasformata. Tornando alla questione della quantità la questione di non eccedere è legata alla presenza di fitoestrogeni, che possono avere interferenze degli ormoni sessuali: potrebbero esserci problematiche nei casi di gravidanze e infanzia, per la crescita e sviluppo del bambino. Io ritengo però che, dati i nostri consumi, non ci possano essere complicazioni. Pensate che la popolazione cinese che ha un’alimentazione tradizionale introduce tra venti e cinquanta grammi di soia e derivati al giorno senza avere problemi, non credo che nemmeno un vegano riesca a superare questi valori.
Ma è preferibile il fagiolo intero, il tofu o il tempeh?
Il tempeh è un ottimo prodotto perchè la fermentazione fungina che tiene insieme tutta la struttura produce anche vitamine, inclusa pochissima B12. Ha nutrienti molto simili rispetto alla carne di vitellone, meno vitamine ma minerali in quantità equivalente. Con verdura accanto e integrando la B12, è un valido sostituto. Il fagiono intero è apprezzabile perché contiene micronutrienti e il tofu è una valida alternativa. Vanno benissimo anche i germogli, mentre gli spaghetti di soia sono principalmente costituiti da amidi. Altri modi di consumare la soia è il sufu, tofu lasciato fermentare e invecchiare con batteri, sale e poco altro: ha un gusto molto deciso e pochi riescono a mangiarlo.
Cosa ne pensi delle barrette e dei beveroni proteici?
Guardo con interesse le barrette proteiche: si dice che la popolazione sta andando verso la snackificazione ed è solita consumare sempre di più piccoli pasti durante la giornata. La barretta ha avuto un’evoluzione piuttosto consistente: è partita da un prodotto di bassa qualità, ricco di zuccheri e grassi, e si sta trasformando in un veicolo di nutrienti. Per un vegano è sicuramente un modo interessante di assumere più proteine e raggiungere la quantità corretta. Sui beveroni ho perplessità perché tutto ciò che è liquido ha un effetto diverso sul nostro organismo rispetto a tutto ciò che è solido, nel senso che ha meno potere saziante: il corpo non è capace di realizzare che sta introducendo energia perché in forma liquida, non si sfama e non si riesce a controllare il peso corporeo.
di Elisa Orlandotti
Testo pubblicato a luglio 2021
Attenzione al seitan:
è sì un alimento proteico, ma a livello di micronutrienti non è ricco, visto che si tratta di glutine e poco altro.
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