Vegetariana dalla nascita e vegana da quando ha fondato il suo marchio di moda, Giada Gaia Cicala ora vive e lavora in Spagna, dove sta diffondendo la sua visione del fashion upcycling e recycling, rispettosa dell’ambiente e stilosa.
di Elisa Orlandotti
Com’è nato il nome Ecologina?
Ecologina è il gioco di parole tra Gina ed Ecologia, entrambi miei soprannomi che le mie coinquiline ai tempi dell’università hanno fuso incominciando a chiamarmi in maniera scherzosa “ecologina”. Il nomignolo mi è piaciuto e ho deciso di adottarlo per il mio progetto di laurea; mi sono affezionata così tanto che quasi spontaneamente è diventato anche il nome della mia avventura lavorativa. Dietro Ecologina ci sono io con i miei valori, le mie speranze, le mie emozioni, i miei propositi. È la mia piccola impresa personale che porto avanti da otto anni con la felicità di lavorare a ciò che mi appassiona, combattendo le numerose difficoltà che comporta lavorare come artigiani. C’è anche la volontà di offrire un’alternativa “sana” nel contesto attuale della moda, che purtroppo ancora fatica a prendere in considerazione il rispetto della natura, degli animali e delle persone.
Come ti sei affacciata nel mondo della moda?
Il primo approccio è stato grazie a mia nonna Carlotta, l’estate della terza media, quando mi insegnò a cucire a mano. L’esperienza mi entusiasmò; decisi di iscrivermi a un istituto professionale di moda e in seguito alla facoltà di design e moda dell’Università di Urbino.
Ho realizzato la mia tesi di laurea sulla moda sostenibile e questo mi ha portato a fare ricerche e analisi approfondite sul sistema: sono rimasta tristemente impressionata dallo sfruttamento e dall’inquinamento che questa industria genera; ho deciso quindi che, se avessi lavorato nel settore, sarebbe stato fuori da questo sistema distruttivo.
Eri già vegana? Come hai vissuto da vegana il lavoro a contatto con lane e pelli?
I miei genitori sono diventati vegetariani prima della mia nascita, di conseguenza sono nata vegetariana e da otto anni sono vegana, esattamente dallo stesso anno in cui ho iniziato l’avventura con Ecologina. Non ho mai lavorato a contatto con la pelle, ma mi capita di usare lana e seta per i miei capi. Sono fermamente contraria allo sfruttamento degli animali per ricavarne la lana e sono consapevole delle terribili pratiche per la produzione della seta. I tessuti di origine animale che uso provengono esclusivamente da vestiti antichi, già realizzati, scartati, che recupero proprio per fare in modo che il sacrificio dell’animale non sia stato inutile; provo a dare almeno una seconda vita, prediligendo comunque sempre le fibre di origine vegetale.
Quali sono le linee guida del tuo stile?
È difficile descrivere lo stile delle mie creazioni, ma le linee guida che applico alla mia produzione sono sicuramente l’upcycling e il recycling. Lavoro contrastando i numerosi sprechi che ci sono nel mondo della moda nelle varie fasi di produzione. Per realizzare le mie collezioni parto dai materiali che ho a disposizione e, una volta ideato e sviluppato il modello, lo realizzo in numerose varianti di tessuto, colore e rifiniture. Ogni mio capo è unico: mi piace prendermi cura personalmente di ogni mia creatura, alla quale dedico tempo e amore soprattutto per la cura del particolare; la qualità e l’unicità sono caratteristiche fondamentali di Ecologina.
Qual è la più grande soddisfazione ricevuta nell’ambito professionale?
Credo che sia il fatto di poter vivere con il frutto del lavoro che amo e che mi appassiona. Mi rende veramente molto felice avere un negozio che è anche il mio laboratorio nel centro di Barcellona, ma quello che mi gratifica maggiormente è il sorriso delle clienti interessate al mio progetto, al significato della mia moda, che tornano soddisfatte ad acquistare i miei abiti.
Com’era il più bell’abito che hai creato? Perché lo porterai sempre nel cuore?
È difficile dire qual è l’abito più bello, vedo speciali tutte le mie creazioni per un motivo o per l’altro. Sicuramente ricordo con particolare affetto l’abito che ho creato per la mia tesi di laurea, un vestito realizzato con differenti scampoli di maglieria; erano gli scarti di un maglificio veneto, pezzi di prove, sperimentazioni, errori di colore che sarebbero stati destinati al macero e quindi a inquinare l’ambiente; con la tecnica del manichino ho assemblato questi rimasugli creando così un abito super sperimentale per il 2009!
Quest’anno sono particolarmente orgogliosa dei Pantancora, un modello di pantaloni che sto producendo attualmente, vestono bene, sono confortevoli e hanno un loro particolare stile armonico.
Secondo te il mondo dei grandi marchi si sta realmente aprendo all’animal free?
Sì, ho la percezione che i grandi marchi stiano iniziando a rinunciare a utilizzare pelli, pellicce e a volte anche fibre di origine animale, ma la loro apertura può sembrare una strategia di marketing, dettata dal fatto che sta crescendo il movimento vegano.
Hai vissuto in molti posti nella tua vita, ora sei in Spagna. Com’è la scena vegana lì?
Attualmente vivo a Barcellona, dove la scena vegana è abbastanza attiva anche se la vedo un po’ più acerba rispetto a Milano, la mia città natale. A Barcellona c’è però una forte cultura femminista e un grande movimento per l’uguaglianza di genere; l’aspetto interessante che noto è il diffondersi del binomio femminismo e veganismo, visto che le due correnti hanno molti aspetti in comune come il rifiuto di ogni violenza verso qualsiasi genere o specie.
Il tuo sogno nel cassetto?
Mi piace sognare che un giorno il mondo possa vestirsi con abiti “puliti” da ogni sfruttamento e sopruso nei confronti di tutti gli esseri viventi che abitano questa meravigliosa Terra, che amo tanto e che tutti noi abbiamo il dovere di preservare. Ogni mio piccolo gesto professionale e personale è perché questo sogno si realizzi.
Vegetariana dalla nascita e vegana da quando ha fondato il suo marchio di moda, Giada Gaia Cicala ora vive e lavora in Spagna, dove sta diffondendo la sua visione del fashion upcycling e recycling, rispettosa dell’ambiente e stilosa.
di Elisa Orlandotti
Com’è nato il nome Ecologina?
Ecologina è il gioco di parole tra Gina ed Ecologia, entrambi miei soprannomi che le mie coinquiline ai tempi dell’università hanno fuso incominciando a chiamarmi in maniera scherzosa “ecologina”. Il nomignolo mi è piaciuto e ho deciso di adottarlo per il mio progetto di laurea; mi sono affezionata così tanto che quasi spontaneamente è diventato anche il nome della mia avventura lavorativa. Dietro Ecologina ci sono io con i miei valori, le mie speranze, le mie emozioni, i miei propositi. È la mia piccola impresa personale che porto avanti da otto anni con la felicità di lavorare a ciò che mi appassiona, combattendo le numerose difficoltà che comporta lavorare come artigiani. C’è anche la volontà di offrire un’alternativa “sana” nel contesto attuale della moda, che purtroppo ancora fatica a prendere in considerazione il rispetto della natura, degli animali e delle persone.
Come ti sei affacciata nel mondo della moda?
Il primo approccio è stato grazie a mia nonna Carlotta, l’estate della terza media, quando mi insegnò a cucire a mano. L’esperienza mi entusiasmò; decisi di iscrivermi a un istituto professionale di moda e in seguito alla facoltà di design e moda dell’Università di Urbino.
Ho realizzato la mia tesi di laurea sulla moda sostenibile e questo mi ha portato a fare ricerche e analisi approfondite sul sistema: sono rimasta tristemente impressionata dallo sfruttamento e dall’inquinamento che questa industria genera; ho deciso quindi che, se avessi lavorato nel settore, sarebbe stato fuori da questo sistema distruttivo.
Eri già vegana? Come hai vissuto da vegana il lavoro a contatto con lane e pelli?
I miei genitori sono diventati vegetariani prima della mia nascita, di conseguenza sono nata vegetariana e da otto anni sono vegana, esattamente dallo stesso anno in cui ho iniziato l’avventura con Ecologina. Non ho mai lavorato a contatto con la pelle, ma mi capita di usare lana e seta per i miei capi. Sono fermamente contraria allo sfruttamento degli animali per ricavarne la lana e sono consapevole delle terribili pratiche per la produzione della seta. I tessuti di origine animale che uso provengono esclusivamente da vestiti antichi, già realizzati, scartati, che recupero proprio per fare in modo che il sacrificio dell’animale non sia stato inutile; provo a dare almeno una seconda vita, prediligendo comunque sempre le fibre di origine vegetale.
Quali sono le linee guida del tuo stile?
È difficile descrivere lo stile delle mie creazioni, ma le linee guida che applico alla mia produzione sono sicuramente l’upcycling e il recycling. Lavoro contrastando i numerosi sprechi che ci sono nel mondo della moda nelle varie fasi di produzione. Per realizzare le mie collezioni parto dai materiali che ho a disposizione e, una volta ideato e sviluppato il modello, lo realizzo in numerose varianti di tessuto, colore e rifiniture. Ogni mio capo è unico: mi piace prendermi cura personalmente di ogni mia creatura, alla quale dedico tempo e amore soprattutto per la cura del particolare; la qualità e l’unicità sono caratteristiche fondamentali di Ecologina.
Qual è la più grande soddisfazione ricevuta nell’ambito professionale?
Credo che sia il fatto di poter vivere con il frutto del lavoro che amo e che mi appassiona. Mi rende veramente molto felice avere un negozio che è anche il mio laboratorio nel centro di Barcellona, ma quello che mi gratifica maggiormente è il sorriso delle clienti interessate al mio progetto, al significato della mia moda, che tornano soddisfatte ad acquistare i miei abiti.
Com’era il più bell’abito che hai creato? Perché lo porterai sempre nel cuore?
È difficile dire qual è l’abito più bello, vedo speciali tutte le mie creazioni per un motivo o per l’altro. Sicuramente ricordo con particolare affetto l’abito che ho creato per la mia tesi di laurea, un vestito realizzato con differenti scampoli di maglieria; erano gli scarti di un maglificio veneto, pezzi di prove, sperimentazioni, errori di colore che sarebbero stati destinati al macero e quindi a inquinare l’ambiente; con la tecnica del manichino ho assemblato questi rimasugli creando così un abito super sperimentale per il 2009!
Quest’anno sono particolarmente orgogliosa dei Pantancora, un modello di pantaloni che sto producendo attualmente, vestono bene, sono confortevoli e hanno un loro particolare stile armonico.
Secondo te il mondo dei grandi marchi si sta realmente aprendo all’animal free?
Sì, ho la percezione che i grandi marchi stiano iniziando a rinunciare a utilizzare pelli, pellicce e a volte anche fibre di origine animale, ma la loro apertura può sembrare una strategia di marketing, dettata dal fatto che sta crescendo il movimento vegano.
Hai vissuto in molti posti nella tua vita, ora sei in Spagna. Com’è la scena vegana lì?
Attualmente vivo a Barcellona, dove la scena vegana è abbastanza attiva anche se la vedo un po’ più acerba rispetto a Milano, la mia città natale. A Barcellona c’è però una forte cultura femminista e un grande movimento per l’uguaglianza di genere; l’aspetto interessante che noto è il diffondersi del binomio femminismo e veganismo, visto che le due correnti hanno molti aspetti in comune come il rifiuto di ogni violenza verso qualsiasi genere o specie.
Il tuo sogno nel cassetto?
Mi piace sognare che un giorno il mondo possa vestirsi con abiti “puliti” da ogni sfruttamento e sopruso nei confronti di tutti gli esseri viventi che abitano questa meravigliosa Terra, che amo tanto e che tutti noi abbiamo il dovere di preservare. Ogni mio piccolo gesto professionale e personale è perché questo sogno si realizzi.